Alvaro Palini e l’Azienda Agricola Adanti

Esistono posti dove il cuore si allarga, il respiro si fa più profondo e ci si sente un po’ più in pace con il resto dei terrestri. L’areale di Montefalco, le morbide colline umbre tra Foligno e i Monti Martani mi hanno sempre fatto questo effetto. L’appoggio per i week end che io e la mia consorte ogni tanto riusciamo a concederci è sempre lo stesso, l’Agriturismo Arcobaleno della Torretta a Giano dell’Umbria, Località Macciano. Sì, è una spudorata pubblicità e non me ne vergogno, perché gli voglio un gran bene e meritano di essere conosciuti da tutti. 
Questa zona meravigliosa, perfettamente al centro dell’Italia, è il territorio elettivo di una delle uve che amo di più in assoluto: il Sagrantino. Da quest’uva se ne è sempre tratto un vino passito dolce. Essendo il tannino dell’uva più tannica d’Italia difficile da domare, la morbidezza dello zucchero residuo riusciva in qualche modo ad armonizzare il tutto. Il periodo pasquale era designato per la stappatura del Sagrantino passito. La coltivazione era, come dire, disorganizzata: tra i filari di vite trovavano posto alberi da frutto, grano, ecc. Poi vennero alcuni coraggiosi (o dei matti) che, attorno agli anni ’70, cominciarono a sperimentarne la versione secca, ricavandone uno dei vini rossi più iconici del mondo. Tra questi coraggiosi va doverosamente citato Alvaro Palini, il primo cantiniere dell’Azienda Agricola Adanti. Lo si potrebbe definire ‘l’uomo che ha inventato il moderno Sagrantino’. E attenti, l’azzardata affermazione potrebbe venire solo rettificata, mai sbugiardata. 
Oddio, chiamarlo solo cantiniere è orrendamente riduttivo. L’amico Alessandro Albergotti, splendido narratore delle storie della cantina, mi ha reso partecipe di alcuni racconti sul sor Alvaro durante la mia ultima visita alla cantina Adanti lo scorso 26 ottobre. Ed è una storia bellissima, che voglio raccontare.

Fonte: cantineadanti.com
Anche solo pensare di replicare la vita di Alvaro Palini farebbe venire le vertigini: emigrante in Francia da Bevagna per lavoro, professione sarto. Via via fa strada, e da sarto evolve in stilista. Già si potrebbe essere soddisfatti così e non abbiamo neanche cominciato. Parigi, anni ‘60/’70, il mondo della moda in continua crescita. Alvaro è nel posto giusto. Senza entrare troppo in dettagli che non possiedo, dico solo che il buon Alvaro nel ’68, insieme a Franklin Souhami, fonda un marchio di moda. Niente di che, solo la Sisley, che verrà poi comprata dalla Benetton ed è diventa quello che è oggi. Come arriviamo dalla Sisley alla cantina Adanti? Abbastanza semplice: il cuore di un umbro batte in Umbria. 1300 km non hanno reciso il legame tra Alvaro e la sua terra, amici compresi. E proprio tra questi c’è il secondo protagonista della storia: Domenico Adanti, un commerciante di mobili di Bevagna con la passione del vino, che nei primi anni ’70 acquista la villa di Arquata ed i relativi terreni, appena fuori dalle mura di Bevagna. Impianta i vigneti con allevamento a palmetta, tipico umbro, una sorta di guyot bilaterale a più piani; ristruttura la parte della villa che originariamente era un convento dei Frati Celestini, riadattandola a cantina, e comincia a divertirsi con l’uva. Infine, data l’amicizia di lunga data, fa assaggiare volta per volta i vini prodotti ad Alvaro. Alvaro è stato da sempre appassionato di vino, e ricordava bene come il nonno coltivasse con scrupolo le poche piante di Sagrantino che aveva. In più a Parigi ebbe anche modo di saziare la sete di conoscenza con i vini d’oltralpe (sì, i francesi sono e fanno, per l’appunto, i francesi, però due o tre cose sul vino ancora possono spiegarcele). Terza caratteristica di Alvaro: era dritto, diretto, acuminato e tagliente; se sottoponevi una cosa al suo giudizio potevi uscirne à la julienne (se passate da Adanti, chiedete ad Alessandro cosa pensasse Alvaro delle sue impressioni sui sentori di frutta matura nel Sagrantino Passito). L’Adanti dunque sottoponeva volta per volta al Palini i suoi vini, prodotti con tanta speranza ed impegno. Risposte del Palini? Il più delle volte “lavandino”, e bisognava ringraziarlo. Gli umbri sono gente meravigliosa: se c’è una contesa dialettica mollano la giacca sulla sedia e ballano per ore; non è necessario arrivare alle mani, ha torto chi si stanca per primo. Finché un giorno, dopo l’ennesima ‘velata critica’ al proprio vino, a Domenico uscì la frase che permise a Catherine Zeta Jones e Michael Douglas di bere Sagrantino al loro matrimonio: “Allora pensaci tu!”. L’ultimo mattoncino di Jenga: viene giù tutto. 

Fonte: Tuttoggi.info
Alvaro molla Parigi nel 1977, saluta il mondo della moda (ma non gli strumenti da sarto, sempre a portata di mano) e torna a Bevagna a gestire la cantina dell’amico, forte della sua laurea in Enol… no, nessuna laurea! Il Sagrantino come è oggi è solo frutto di una mente affatto accademica, ma eccezionalmente acuta, curiosa all’inverosimile, che ascoltava chiunque avesse qualcosa di intelligente da dire, indipendentemente dal titolo di studio. Esemplificativi gli incontri con Giacomo Tachis: varie volte si sono dati appuntamento ai caselli autostradali, scambiandosi i vini e, successivamente all’assaggio, le opinioni. Capite? Se Tachis teneva in considerazione le impressioni di un ex sarto non enologo, quanto credito non riscosso ha il Palini?
Alvaro aveva sempre voglia di imparare, ciò gli ha permesso di arrivare a realizzare vini stupendi. Pochi grappoli per pianta, vendemmia in più giorni e solo dei grappoli perfetti, botte grande e tonneau; poche barrique e non di rovere di Allier, troppa vaniglia nel vino, meglio la Slavonia: secondo Alvaro il tannino del Sagrantino doveva essere sì domato ma non snaturato. Le scene del sarto che dice ai lavoratori in vigna di togliere grappoli per avere meno resa, dovevano essere divertentissime. Ma ormai abbiamo intuito il carattere del Palini: o si fa come dice lui o qualcun altro farà come dice lui. Si fa come dice lui. La prima etichetta di Sagrantino secco è del 1978. I primi a commercializzarlo sono Adanti, la Cantina Cooperativa di Foligno e l’azienda Tardioli, che oggi non c’è più. Stop.
Adanti comincia a farsi un nome nel panorama del vino umbro, ma non ci si limita solo al meraviglioso Sagrantino. Alcuni terreni della tenuta di Arquata erano già vitati a Grechetto, Ciliegiolo e Barbera. Negli anni Domenico decise di piantare anche, tra gli altri, Merlot e Cabernet. Ad Alvaro allettava l’idea di produrre un taglio bordolese, e qui è il suo capolavoro: l’Arquata Rosso. 40% Cabernet Sauvignon, 40% Merlot e 20% Barbera. Il ‘vino matto’ come lo definiva il suo demiurgo. La scelta del Barbera ha un ché di filosofico (i migranti per lavoro, al ritorno in Umbria, portavano sempre con loro barbatelle di quest’uva molto produttiva) e un ché di logico: i Merlot e Cabernet qui non avranno mai il corredo acido e gli aromi dei corrispettivi coltivati nell’Haut-Médoc, perdendone in termini di eleganza. L’aggiunta della Barbera, con la sua naturale freschezza, riequilibra il vino e lo rende elegante e longevo. Un altro colpo magistrale del Palini.

Fonte: Tuttoggi.info
I protagonisti di questa storia purtroppo non ci sono più: Domenico se ne è andato nel 1995, Alvaro nel 2018. Grande è però il loro lascito: un’azienda affermata, vini finissimi, un modo di produrre il Sagrantino rispettoso dell’uva e della tradizione, l’attesa come parte fondamentale del processo di vinificazione: da Adanti non si ha paura del tempo, sia il Sagrantino che l’Arquata Rosso attendono 7 anni dalla vendemmia, tra botti e bottiglie, prima di uscire sul mercato. L’azienda è oggi nelle mani delle figlie di Domenico, Donatella e Daniela, mentre molti dei segreti del sor Alvaro sono gelosamente custoditi dal figlio Daniele, l’attuale enologo della cantina. 
La prossima volta che berrete un Sagrantino, per piacere, fate un brindisi ad Alvaro e Domenico.

Fonte: cantineadanti.com
P.S.: io, il 26 ottobre, alcuni dei vini di Adanti li avrei anche degustati. Tra cui un Sagrantino del ‘99 che se ci penso mi metto a piangere.

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