Centopassi – Terre Siciliane IGT Rosso “Pietre a Purtedda da Ginestra” 2015

Questa storia vede il vino solo come aspetto marginale. È una storia che parte da lontano. Il nome della cantina dirà qualcosa a molti, il nome alla cui memoria il vino è dedicato e intitolato dovrebbe invece essere ben scolpito nelle nostre teste. Centopassi, chiaro riferimento al film di Marco Tullio Giordana su Peppino Impastato. Purtedda da Ginestra (Portella della Ginestra per noi continentali), a una trentina di km da Palermo, è indissolubilmente legata ad una festa dei lavoratori finita nel sangue: 1 maggio 1947, ore 10:15, migliaia di contadini siciliani si ritrovano per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali di pochi giorni prima e manifestare contro il latifondismo. Ve la immaginate la festa: al fianco del comizio politico si accendono fuochi, si comincia a cucinare, i bimbi giocano. Fino a quando partono raffiche di mitragliatori dal monte Pelavet. 
Sparano sulla folla. 
Sparano su dei contadini; muoiono in 14. 
Sparano su dei bambini; ne uccidono 4. 
I carnefici sono Salvatore Giuliano e la sua banda, i mandanti sono vari, incerti e tutti plausibili (mafia, estrema destra, servizi segreti americani; i mitragliatori erano armi d’assalto, non certo le classiche lupare siciliane). Ricordo bene il senso di gelo nelle ossa la prima volta che ascoltai questa storia, raccontata in una puntata di Blu Notte dall’immenso Carlo Lucarelli. Una strage atroce, per la modalità e per l’umiltà e l’età delle vittime.
Voi capite bene che, di fronte a questa bottiglia e al suo significato, il vino passa decisamente in secondo piano. 
Riporta la retroetichetta: “Centopassi è l’anima vitivinicola delle cooperative Libera Terra che coltivano terre siciliane confiscate alla mafia”. In Italia, soprattutto negli ultimi anni, vanno per la maggiore dietrologie, maldicenze, sospetti, insomma tutto ciò che si portano appresso ignoranza ed idiozia, saltellando tutte allegre. Io, piccolo e sciocco, voglio ancora pensare che queste terre, una volta proprietà della mafia, vengano lavorate da gente onesta, gente che riconosca il valore del proprio lavoro in questi posti specifici. Voglio pensare che questa gente, con questo lavoro voglia solo guadagnarci, non speculare. Magari sarò un innocente fessacchiotto, preferisco così; non fa male a nessuno avere ancora speranza in qualcosa di buono. E apprezzate anche che non abbia banalmente citato ‘Imagine’ di John Lennon per esprimere il concetto.


Il vino, alfine. Il blend è 70% Nerello Mascalese e 30% Nocera, quest’ultimo è un autoctono siciliano dai natali illustri: era alla base del Mamertino, vino tanto apprezzato dai Romani; oggi ancora ne fa parte ma solo come ‘accompagnatore’ del Nero d’Avola. I 950 m d’altezza conferiscono all’uva tutta una gamma di profumi che catturano con decisione le narici dell’avventuriero di turno.
Il vino, color rubino cristallino, si presenta all’inizio con sentori di terra, terra rossa, ruggine, per poi liberare un’ondata di frutta e fiori: ciliegia potente, melograno, ribes e mirtillo, molto glicine e rosa selvatica. Quindi si fanno vive le spezie, portate in dote dal buon Nerello, con cenni di noce moscata e anice stellato. Chiusura finale di cuoio e leggero marzapane. In bocca il vino è fresco, lievemente tannico, di medio corpo e con una finissima persistenza gusto-olfattiva. Un vino notevole, da un posto che nessuno dovrebbe mai dimenticare.

Nessun commento:

Posta un commento