Piper-Heidsieck – Champagne Extra Brut Cuvée Résérve “Essentiel”


In origine avevo cominciato questo post con un rant, un’invettiva generale, contro il Covid, la malasorte e buona parte del genere umano, perlomeno quello che occupa l’italico suolo. Poi però ho riletto il tutto: un preambolo inutile, se non ridicolo (come del resto tutte le invettive rilasciate a mezzo social, che mannaggia a voi vi dovrebbero tagliare le mani… ecco che mi riparte il rant. Bòno, statte bòno).

Quindi ecco la versione 2.0 del post, senza rugate attribuibili alle restrizioni causa Covid, le quali hanno costretto me e mia moglie a celebrare il primo anno di vita della nostra amata bimba soli soletti, anziché con una mega festa come speravamo. Pazienza, la mega festa sarà solo rimandata, la nostra bimba l’abbiamo comunque festeggiata a dovere e tutti noi fortunatamente siamo ancora in salute.

Molto cinicamente, annovero tra le note positive della vicenda la completa ed esclusiva disponibilità della bottiglia che dà il titolo a questo pezzo. Non so voi, ma io non sono uso a sorseggiare Champagne. Però, fiutato l’andazzo del periodo, è stata mia moglie a farmi riflettere: “dato che la festa sarà a ranghi ridotti, almeno festeggiamo bimba nostra con uno Champagne, caro mio che invece avresti aperto un Brachetto senza alcuna remora”. Sono donne, stanno un passo avanti, c’è poco da fare.

In una ricerca che ha visto battagliare da un lato la curiosità e dall’altro il portafogli, a spuntarla è stata la Cuvée Résérve “Essentiel” di Piper-Heidsieck, il primo Champagne a varcare la soglia della mia umile dimora.

Ma cosa avrà mai di speciale lo Champagne? Perché è così celebrato, quando “abbiamo dei Trento DOC e Franciacorta che sono anche più buoni” (premesso che la ‘bontà’ di un vino è nel cavo orale di chi trinca)? Non mi metterò a scriverne la storia e le caratteristiche generali, ci sono tonnellate di pagine al riguardo. Però almeno due o tre motivi ve li do. Uno potrebbe essere che è (quasi) il punto più a nord dove si riesce a produrre vino, e il fatto che questo vino sia anche un’eccellenza già è un bel punto a favore. Altro motivo? Il terreno è unico nel suo genere: gesso. Ma gesso vero, bello bianco, in cui pinot noir, pinot meunier e chardonnay affondano le radici. Ne volete un terzo? Bene, con questo vi convinco di sicuro: lo Champagne i francesi lo producono da più di tre secoli. Tre secoli. Da 350 anni loro sanno come si produce, si imbottiglia, si conserva e, soprattutto, si vende. Volete mettervi a gareggiare con chi fa l’arte da più di tre secoli? Dai, lasciamo stare paragoni con DOC nostrane sorte pochi anni fa, per quanto assai valide: lo Champagne è ancora qualcosa di unico. Tanto per dire: la maison Piper-Heidsieck vede la luce nel 1785, inizialmente solo come Heidsieck; Piper si aggiunse nel 1838. Rileggete gli anni e chiedetevi cosa c’era in Italia a quel tempo, non solo in campo vinicolo. Spoiler: non c’era ancora nemmeno Lei, l'Italia.

La Cuvée Résérve “Essentiel” di Piper-Heidsieck da me saggiata è stata prodotta con uve dell'annata 2014 per l'82% e con vini riserva per il 18% della massa. La presa di spuma è cominciata nel 2015 e le bottiglie sono state lasciate sulle pupitres fino al gennaio 2019, quando I lieviti sono stati gentilmente invitati ad abbandonare il vetro mediante spinta propulsiva a base di CO2 (dégorgement).

Lo spumante versato nel calice dà vita ad una spuma cremosa che svanisce con molta calma, lasciando nel liquido, di un intenso colore giallo paglierino, durevoli catenelle di bollicine (perlage, per i più chic).

Il profumo di questo Champagne mi rimanda al concetto di eleganza. Io non so se sia suggestione inconscia, cioè sapendo quanto lo Champagne sia icona della signorilità, di fronte ad esso siamo tutti inclini a giudicarlo in automatico come elegante, fascinoso. Però, avendo alle spalle ormai un discreto numero di assaggi, questo Champagne, con il suo profumo non prepotente, molto misurato e comunque ricco di sfumature, mi ha fatto scattare l’associazione con un qualcosa di elegante, di gentile. La migliore cosa per confermare questa sensazione sarebbe un assaggio alla cieca tra le varie tipologie spumantistiche, e non vedo l’ora di poterlo fare un giorno. Tornando alla nostra Cuvée Résérve, le sfumature odorose che si colgono sono di gesso, di grano cotto, di pasta sfoglia e pane appena sfornato, di fieno secco, di pompelmo, di nocciole tostate e una leggera nota di zenzero fresco.

In bocca questo Champagne è sontuoso. So che non è un descrittore oggettivo l’aggettivo ‘sontuoso’, ma è una sensazione che va provata per essere compresa; e può essere provata solo paragonando vini diversi tra loro, anche (se non soprattutto) alla cieca, che ormai avrete capito è la mia modalità preferita. Un vino di livello riesce ad emergere, riesce a far percepire il proprio calibro.

Volendo qui andare più nello specifico, la Cuvée Résérve è fresca e sapida, l’effervescenza non aggredisce il palato e lascia una piacevole sensazione cremosa. L’intensità gustativa è percepibile e, soprattutto, costante, non cede con il passare dei secondi; una persistenza gusto-olfattiva che sfuma con lentezza e che si protrae per lunghissimi secondi. Bere Champagne è davvero un’esperienza a sé, che non ha ancora paragoni.

Yann Chave – Crozes Hermitage AOC 2018

 

La syrah è sparsa a pioggia in tutto il mondo, e ci cresce anche bene, ma il porto da dove è partita la sua Mayflower ha sede lungo le rive del Rodano. Non che sia uno dei posti più comodi del mondo: sponde scoscese e la costante compagnia del mistral, un vento freddo che piega la schiena anche alle statue. Però alla syrah piace, ci è nata e ci si trova benissimo. Contenta lei, l’uva.

Crozes-Hermitage è una delle AOC che compongono la regione vinicola del nord del Rodano, è dislocata tutto attorno la celeberrima collina dell’Hermitage. Da queste parti, un bel giorno del 1996, un ragazzone grande e grosso di 26 anni con un’intensa passione per il rugby decise di mettere mano alle forbici e di cominciare a fare sul serio con la viticoltura. Grande e grosso sì, ma anche delicatino, dato che in capo a pochi anni resta intossicato dopo uno dei trattamenti effettuati in vigna. Facile prevedere come la conversione biologica, certificata poi nel 2007, fosse in cima alla lista desideri del nostro Yann una volta posato il respiratore.

Il Crozes-Hermitage di Yann Chave proviene da viti di solo syrah, di età media attorno ai 20 anni, localizzate presso La Roche de Glun, Mercurol e Pont de l'Isére. Vendemmia effettuata manualmente, uve diraspate, fermentazione protratta per 20-30 giorni a contatto con le bucce. Questo vino giace per un annetto solo in acciaio, anche se una fonte su internet riporta come un 20% della massa sosti in demi-muids (botti da 600 litri). Ma parla di contatto con il legno evitato per questo vino, il mio voto va all'acciaio e la mia coscienza non ha nulla da obiettare.

Nel calice il vino è di un gran porpora, compatto e impenetrabile.

Al naso arriva una gran bordata di aromi: mela Stark, more e mirtilli maturi, tanto glicine, l'immancabile pepe nero, un'iniziale sentore selvatico che vira su un vegetale di ginepro e mirto mano a mano che il vino respira; si apprezza anche un’inaspettata ma presente nota burrosa, una nota grassa (come possa essere una nota ‘grassa’ all’olfatto non saprei meglio definirlo, ma qui è l’immedesimazione a dover prendere il sopravvento. A voi, studio).

In bocca il vino ha gran corpo (non è un passito, ma ha una sensibile masticabilità), molto intenso, fresco e di eccellente sapidità, un tannino presente e gentile. Sorso assai persistente, con un finale di bocca che ricorda il panpepato.

Sandro Fay – Valtellina Superiore Valgella DOCG “Costa Bassa” 2016

 

Valtellina, un posto dove fare del vino è agevole quanto campare vendendo divani in mezzo a un centro commerciale (so di cosa parlo). Terrazzamenti ripidissimi e scoscesi, rubati alla roccia delle Alpi Retiche e sostenuti da muretti a secco. Forse per questo il vino della Valtellina non è solo buono, è eccezionale. Certo i valtellinesi ci hanno anche messo del loro, perché sono andati a scegliersi il vitigno più principesco d'Italia, il nebbiolo. Ma a parte che lo cullano da tempo immemore, il fatto di chiamarlo chiavennasca forse toglie dall’impaccio di fare paragoni non pertinenti con Barolo & co. Anche perché il Valtellina Superiore ha in comune con il Barolo solo il vitigno, e nemmeno quello se si fanno le pulci ai cloni piantati, roba da ampelografi. 

Le sottozone della Valtellina, celebri per chi abbia affrontato un esame FIS/AIS/FISAR, sono cinque, e ora le ripetiamo tutti insieme tenendoci per mano: Valgella, Inferno, Grumello, Sassella, Maroggia. Il vino oggetto del nostro disquisire odierno vanta natali in Valgella, la più orientale delle cinque sottozone. 

Le viti da cui provengono le uve del “Costa Bassa” stazionano dal fondovalle fino a quota 450 m circa s.l.m. in un terreno a tessitura prevalentemente sabbiosa (fino al 70%). Ciò significa che il drenaggio dell’acqua è assicurato, mettendo a dura prova la prosperità della vite. Sabbia vuol dire (sempre in teoria) anche profumi più fini, delicati e sfaccettati ed un corpo meno esuberante. Verifichiamolo.

 

La chiavennasca viene vendemmiata verso la seconda metà di ottobre, vendemmiata e fatta fermentare in acciaio. Il vino viene quindi spedito in botti di rovere, dove malolattizza (…) e matura per 12 mesi.

Nel bicchiere il Costa Bassa è di un rosso granato molto scarico, un vetro trasparente, con bordura che vira verso il rosso aranciato. 

Il profumo è di media intensità. Non colpisce per volume ma certamente lo fa per la varietà dei profumi, che partono da bacche rosse (ribes, fragoline, lamponi) ed arancia sanguinella, commiste a una delicata speziatura (ginepro, pepe rosa, radice di liquirizia e un leggero chiodo di garofano). Si percepiscono note di sottobosco, una grande mineralità rugginosa e, col passare dei minuti, si apprezzano un carico sentore di cipria e cenni di geranio e rosa, caffè tostato e legno di cedro. Profumi dal volume ridotto, detti a voce bassa, ma di una varietà e un nitore invidiabili.

Il sorso è coerente con il profumo: l’ingresso è leggero e al tempo stesso il sapore è pieno. La freschezza domina le altre componenti senza risultare dispotica, con una buona sapidità ed un tannino docile e vellutato. Il corpo del vino è senza dubbio lieve, tutt’altro che un campione di masticabilità, ma ciò non preclude una persistenza gustativa assai lunga, con una scia aromatica che alterna sentori boschivi, di arancia rossa e di mandorla, quest’ultima tratto caratteristico dei vini originari della Valgella.