Europa che parla di vino e testate che parlano di questo: preparate i popcorn.

 Attenzione, l’Europa vuole vietare vino e birra!!1!uno!!”. Questo è il tono dei commenti meno deliranti trovati su Facebook alla notizia dell’approvazione del rapporto del Comitato Speciale BeCa (Beating Cancer) nei confronti delle bevande alcoliche. Rapporto, va detto, già diffuso in prima stesura a febbraio 2021. Il comitato è composto da alcuni eurodeputati, con lo scopo di supportare il trattamento dei vari tipi di cancro e diffondere studi e raccomandazioni per contenerne le fonti di rischio. In quest’ottica si inserisce l’ormai famoso report, che andrà all’esame dell’Europarlamento nei prossimi mesi. 

Esso, in estrema sintesi, riporta che “Il consumo di alcool è un fattore di rischio per molti tipi di cancro […] alla cavità orale, alla faringe, alla laringe, all'esofago, al fegato, al colon e, nelle donne, al seno”. L’incoraggiamento proposto da questo report è di non incentivare il consumo di alcol, con conseguente adozione di provvedimenti come, ad esempio, divieto di pubblicità per le bevande alcoliche.

Analizziamo insieme, con tutta la calma residua: ci stanno dicendo che il consumo di alcol, anche se moderato, è comunque rischioso; che non c’è una quantità “sicura”, che è l’assunzione di alcol in sé a comportare un rischio, il quale è tanto maggiore quanto è l’aumento della dose. La parolina magica è ‘rischio’: non è matematico, non è certo, ma è rischioso consumare alcol; più se ne consuma, più il rischio aumenta. 

Non va mai dimenticato che l’alcol etilico è categorizzato come cancerogeno di classe 1. Cosa è la classe 1? È il gruppo in cui sono comprese le sostanze per cui esistono sufficienti prove scientifiche della loro capacità di influenzare l'insorgenza dei tumori. E tanto per non creare appigli polemici, in questo gruppo ci è finita anche l’acetaldeide, ossia ciò che diventa l’alcol etilico quando viene “digerito” dal nostro corpo. Mi sembra tutto abbastanza chiaro, non trovate?

 

La pacatezza con cui si affrontano questi argomenti: rischio morte.

Torniamo al report, che dice che più alcol bevi più chances hai di vincere un cancro, quindi sarebbe meglio non pubblicizzarne troppo il consumo. Apriti cielo! Molte testate hanno esordito con titoli del genere: “L’Europa vuole vietare vino e birra”, oppure “Vino, produttori in allarme per la proposta di stretta anti-alcool alla UE”.

Nessuno si offenda, ma li trovo solo titoli clickbait, che si inseriscono perfettamente nella marmellata disinformativa del giornalismo versione internet degli ultimi dieci anni (almeno). Titoli che parlano alla pancia dell’individuo, parole messe insieme non per informare, non per sintetizzare la notizia, solo per generare una reazione (il più delle volte l’indignazione e la rabbia). Poi uno l’articolo lo apre anche e, prevedibilmente, non trova i toni apocalittici del titolo; trova la notizia così come è, senza poteri occulti che vogliono la nostra forzata sobrietà oppure orde di islamici che si fanno beffe di noi, miseri occidentali costretti a pasteggiare solo a cedrata Tassoni.

Io non sono un giornalista, non è il mio mestiere e non so come si faccia, ma come utente so che un’informazione del genere è sbagliata; peggio ancora: è dannosa. Glisso sui commenti beceri letti su Facebook a questa notizia, come sul mio commento riguardo queste persone (ricordiamo che il 59% degli utenti di Facebook ha tra i 25 e i 54 anni: tecnicamente, hanno tutti potuto frequentare le scuole. Hanno ricevuto una decente istruzione e possiedono gli strumenti per far funzionare il cervello, non solo la pancia. Che si adoperino), ma è sintomatico del modo in cui le notizie vengono date.

 

Io che (sbagliando clamorosamente) leggo i commenti

Concludo con il mio personale commento alla notizia: “ “.

Se l’UE stabilisce che non esiste soglia sicura per il consumo di alcol, io sono d’accordo. Non perché amiamo il vino possiamo ignorare che l’alcol contenuto, per poco che sia, non faccia male. Ci fa piacere considerarci quelli che venerano la bevanda più nobile, il sangue di Gesù, ecc., ma ciò non elimina la quota di alcol in esso contenuta e le sue possibili malefatte. Io amo il vino ma odio profondamente l’alcol: conosco i danni che fa. 

Detto questo, sono consapevole che tutto un comparto potrebbe avere una flessione economica negativa se questo rapporto avesse seguito legislativo, e ciò coinvolge tanto noi quanto i nostri cuginetti francesi, i tedeschi e chiunque abbia una vigna. Certo che ciò non è positivo, ma avrà comunque più peso la salute generale che non gli introiti aziendali (altrimenti cosa dovrebbe dire l’industria del tabacco? E anche le sigarette facevano parte della nostra cultura, anche se mi riesce difficile accostare le parole ‘cultura’ e ‘fumo’, ma quello è un problema mio).

Inoltre, il vino è radicato nella nostra cultura da millenni: non sarà certo un’avvertenza su un’etichetta a farci smettere di bere il classico bicchiere a pasto, o sbaglio? Potranno aumentare i prezzi di un tot, vorrà dire che direzioneremo con più attenzione i nostri soldi. Quelli che hanno sempre comprato il boccione da 5 litri di Castelli Romani DOC Bianco (dal colore quasi verde, altro che bianco…) e ci annaffiavano le cene a colpi di un litro alla volta, magari finiranno col bere mezza bottiglia al giorno (che sempre 3 bicchieri sono, eh) ma spendendoci qualche euro di più, cercando la bottiglia più soddisfacente. Pensate, magari assisteremo al drastico calo di quei boccioni da 5 litri; magari le aziende penseranno “devo rientrare di quegli introiti: facciamo che produciamo meno ettolitri, facciamo un vino più che decente e lo vendiamo a un tantino di più”. 

Ok, sto sognando, ma sono uno di quelli che spera sempre che alla fine il Titanic lo schivi quell’iceberg traditore. E, per inciso, Jack su quella maledetta porta poteva starci.

Failure management, o “come scrivi che il vino assaggiato è una ciofeca?”

 Come gestire un assaggio andato male? Come gestirlo se si scrive, e se i propri scritti non vengono gelosamente tenuti sotto chiave (USB) ma diffusi a mezzo social? Che fare, infine, nominare vino e produttore? O tenerlo candidamente celato?

L’antefatto: stappo un bel rosso, annata 2013, un Chianti Classico Riserva che può reggere alla grande gli 8 anni sulle spalle. Verso nel calice, rosso rubino tendente al granato. Tutto nella norma. Naso: sentore fungino, sottobosco, poi ciliegie sotto spirito, humus, lieve nota di peperoncino, cuoio, liquirizia. Ok, siamo ancora in carreggiata, nessuna avvisaglia di pericolo. 

Lo assaggio. Diamine! Ma quanto diavolo è amaro? No no no, aspetta: cioè questo parte amaro, prosegue amaro e ci finisce pure amaro?! È amaro come una cattiveria. A-ma-ro. Tannino ce ne è, freschezza hai voglia, sapore moderato, ammesso di riuscire percepirlo in mezzo a tutto questo fiele (ve l’ho già detto che ‘sto vino è amaro?), ma scema anche di corsa per un vino di questo calibro, lasciando in bocca un sapore erbaceo e di mela rossa neanche troppo matura. Oltre all’amaro.

Va bene, reazione iniziale comprensibile anche se poco politically correct. Poi penso: “lascio il calice all’aria. Ma sì, magari ha bisogno solo di respirare un pochetto. Forse con un po’ d’aria si riprende. Si riscatta. Me lo immagino che si toglie questo mantello polveroso e ci regala suggestioni impressioniste. Ecco, ci riprovo, va. Anche una bella rotazione del calice, magari lo aiuta. Pure due. Ma sì, facciamogli proprio una centrifuga, che gli fa, tutta salute. Vedi che al naso è più aperto ora; magari al sorso, che ne sai, quasi quasi… Eh no, maledizione! E ‘sto vino fa veramente schifo, è imbevibile!”. Fine della scena, con il contenuto di calice e bottiglia che va a controllare come stiano messe le tubazioni domestiche, accompagnato da parole mai udite in una pagoda buddhista.

 


Esposta la nuda cronaca, possiamo proseguire con le riflessioni. La prima indagine è verso la bottiglia. Potremmo metterne in dubbio la conservazione, ma un difetto gustativo del genere ha poco a che vedere con la conservazione del vino, e ce ne saremmo accorti già al naso.

Si può pensare ad una vinificazione riuscita male, qualcosa sarà andato storto in cantina. Ok, è quello che ho pensato io in effetti. Ma mettiamo che voi siete un produttore, vi viene male un vino e che fate, lo vendete lo stesso? Mica sarete scemi. Oltretutto questo vino si è beccato pure una medaglietta da Decanter: non che sia per forza un attestato di indubbia qualità, ma avrebbero mai potuto quelli dare un premio ad un estratto di artemisia? 

Allora il problema è nella mia bocca? Beh, no. L’apparato orofaringeo funziona egregiamente. Ma per mettermi in dubbio l’ho fatto anche assaggiare a mia moglie, senza anticiparle niente: è ancora lì che cerca di riaprire gli occhi dallo schifo. Due su due comincia ad essere un campione rappresentativo.

Non so davvero cosa altro pensare. Mancherebbe solo il tappo fra gli indagati; tuttavia non so se esso, oltre a regalare al vino quel traditore del TCA, sia in grado anche di tramutare il vino in cicuta. 

 

In conclusione, il dubbio finale: lo dico o non lo dico di quale vino si tratta? 

No. Non lo dico. Non è il caso. 

Questo è stato un assaggio di una singola bottiglia comprata in enoteca. Se volessi abbozzare un’indagine dovrei recuperare lo stesso vino da diversi distributori, aprire le bottiglie in contemporanea e confrontare l’esito degli assaggi. Solo allora avrei abbastanza dati per poter dire “il vino X è buono ed era la mia bottiglia ad essere sfigata, vai a capire il perché”; oppure “a seguito di tot assaggi possiamo dire che il vino Y non è buono, e voi non dovreste nemmeno toccare la bottiglia sullo scaffale”. 

Un pretestuoso ‘diritto di dire la propria opinione’ sui social può essere un motivo allettante per fare comunque nomi e cognomi: la critica negativa porta sempre ad una maggiore visibilità e maggiori interazioni. Ma è utile? No, non lo è; non nei termini di un assaggio singolo. Prima di dire che un’azienda vende vini imbevibili e difettati bisogna esserne più che certi. Neanche tanto per paura degli avvocati, semplicemente per rispetto. Per cui niente gogna mediatica, avrete solo le impressioni personali di un assaggio che mi ha lasciato con… l’amaro in bocca.

[ba-dum tiss]