Failure management, o “come scrivi che il vino assaggiato è una ciofeca?”

 Come gestire un assaggio andato male? Come gestirlo se si scrive, e se i propri scritti non vengono gelosamente tenuti sotto chiave (USB) ma diffusi a mezzo social? Che fare, infine, nominare vino e produttore? O tenerlo candidamente celato?

L’antefatto: stappo un bel rosso, annata 2013, un Chianti Classico Riserva che può reggere alla grande gli 8 anni sulle spalle. Verso nel calice, rosso rubino tendente al granato. Tutto nella norma. Naso: sentore fungino, sottobosco, poi ciliegie sotto spirito, humus, lieve nota di peperoncino, cuoio, liquirizia. Ok, siamo ancora in carreggiata, nessuna avvisaglia di pericolo. 

Lo assaggio. Diamine! Ma quanto diavolo è amaro? No no no, aspetta: cioè questo parte amaro, prosegue amaro e ci finisce pure amaro?! È amaro come una cattiveria. A-ma-ro. Tannino ce ne è, freschezza hai voglia, sapore moderato, ammesso di riuscire percepirlo in mezzo a tutto questo fiele (ve l’ho già detto che ‘sto vino è amaro?), ma scema anche di corsa per un vino di questo calibro, lasciando in bocca un sapore erbaceo e di mela rossa neanche troppo matura. Oltre all’amaro.

Va bene, reazione iniziale comprensibile anche se poco politically correct. Poi penso: “lascio il calice all’aria. Ma sì, magari ha bisogno solo di respirare un pochetto. Forse con un po’ d’aria si riprende. Si riscatta. Me lo immagino che si toglie questo mantello polveroso e ci regala suggestioni impressioniste. Ecco, ci riprovo, va. Anche una bella rotazione del calice, magari lo aiuta. Pure due. Ma sì, facciamogli proprio una centrifuga, che gli fa, tutta salute. Vedi che al naso è più aperto ora; magari al sorso, che ne sai, quasi quasi… Eh no, maledizione! E ‘sto vino fa veramente schifo, è imbevibile!”. Fine della scena, con il contenuto di calice e bottiglia che va a controllare come stiano messe le tubazioni domestiche, accompagnato da parole mai udite in una pagoda buddhista.

 


Esposta la nuda cronaca, possiamo proseguire con le riflessioni. La prima indagine è verso la bottiglia. Potremmo metterne in dubbio la conservazione, ma un difetto gustativo del genere ha poco a che vedere con la conservazione del vino, e ce ne saremmo accorti già al naso.

Si può pensare ad una vinificazione riuscita male, qualcosa sarà andato storto in cantina. Ok, è quello che ho pensato io in effetti. Ma mettiamo che voi siete un produttore, vi viene male un vino e che fate, lo vendete lo stesso? Mica sarete scemi. Oltretutto questo vino si è beccato pure una medaglietta da Decanter: non che sia per forza un attestato di indubbia qualità, ma avrebbero mai potuto quelli dare un premio ad un estratto di artemisia? 

Allora il problema è nella mia bocca? Beh, no. L’apparato orofaringeo funziona egregiamente. Ma per mettermi in dubbio l’ho fatto anche assaggiare a mia moglie, senza anticiparle niente: è ancora lì che cerca di riaprire gli occhi dallo schifo. Due su due comincia ad essere un campione rappresentativo.

Non so davvero cosa altro pensare. Mancherebbe solo il tappo fra gli indagati; tuttavia non so se esso, oltre a regalare al vino quel traditore del TCA, sia in grado anche di tramutare il vino in cicuta. 

 

In conclusione, il dubbio finale: lo dico o non lo dico di quale vino si tratta? 

No. Non lo dico. Non è il caso. 

Questo è stato un assaggio di una singola bottiglia comprata in enoteca. Se volessi abbozzare un’indagine dovrei recuperare lo stesso vino da diversi distributori, aprire le bottiglie in contemporanea e confrontare l’esito degli assaggi. Solo allora avrei abbastanza dati per poter dire “il vino X è buono ed era la mia bottiglia ad essere sfigata, vai a capire il perché”; oppure “a seguito di tot assaggi possiamo dire che il vino Y non è buono, e voi non dovreste nemmeno toccare la bottiglia sullo scaffale”. 

Un pretestuoso ‘diritto di dire la propria opinione’ sui social può essere un motivo allettante per fare comunque nomi e cognomi: la critica negativa porta sempre ad una maggiore visibilità e maggiori interazioni. Ma è utile? No, non lo è; non nei termini di un assaggio singolo. Prima di dire che un’azienda vende vini imbevibili e difettati bisogna esserne più che certi. Neanche tanto per paura degli avvocati, semplicemente per rispetto. Per cui niente gogna mediatica, avrete solo le impressioni personali di un assaggio che mi ha lasciato con… l’amaro in bocca.

[ba-dum tiss]

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