Andrea Occhipinti – Vino Rosso “Alea Viva” 2021

Erano anni che ci giravo intorno. Sbirciavo ma poi mi ritraevo sempre dall’acquisto. Vuoi perché è difficilissimo trovare vini di Andrea Occhipinti in enoteca; vuoi anche perché non è che vengano via per un soldo e due goleador (per il vino oggetto del discorrere erano esatti 24 €). Fatto sta che qualche giorno fa mi sono sentito particolarmente euforico da uscire dall’enoteca con l’Alea Viva 2021 al mio fianco, intenzionato a fargli la festa.

Andrea Occhipinti è vignaiolo in quel di Gradoli (VT), ridente località posta sulle rive del lago di Bolsena molto cara allo spirito di Don Luigi Sturzo (per chiarimenti riferirsi ad una seduta spiritica svolta nel 1978). Le sabbie e i limi di quello che è il lago di origine vulcanica più grande d’Europa contribuiscono a marcare il carattere delle uve di Gradoli, dove la parte del leone la fa l’aleatico, con grechetto rosso e procanico nelle vesti di Pumbaa e Timon. L’Aleatico di Gradoli è per tradizione dolce ma Andrea, che dopo un percorso di studi tortuoso finisce su queste sponde nel 2004, intuisce che ci si possa divertire con quest’uva trasformando in alcol tutti i suoi zuccheri. Così, rilevando vigne abbandonate e limitando al massimo il suo intervento, Occhipinti gioca con l’aleatico vinificandolo in bianco, rosato e rosso; le mani in tasca tende a tenerle anche in cantina, con fermentazioni spontanee in cemento, affinamenti in acciaio o legno e nessuna filtrazione o chiarifica. Vogliamo dire ‘vino naturale’? Tutti liberi di farlo.

Focalizzandoci sull’Alea Viva bevuto, bisogna partire da un liquido nel calice che sarebbe oggetto di contestazione da parte di 8 consumatori su 10 se venduto in GDO: rosso porpora torbido. No no, proprio torbido. Tor-bi-do. Questo la dice lunga sul vino? Per niente. Casomai illustra bene l’analfabetismo enologico che ha da essere curato, un sorso alla volta. Un vino torbido non indica nulla se non una mancata filtrazione. Stop. Se qualcosa fosse andato storto ce ne accorgeremmo con gli altri due sensi.

Anzi, chiamiamolo proprio in causa uno dei due: il naso. Un profumo assai seducente, una raccolta di fiori freschissimi e di frutta appena matura: rose, gerani, glicine, ciliegie, fragole… Si aggiungono note di anice, cannella e appena appena di foglie secche e cenere. Qui crollano tutti i pregiudizi sui profumi dei vini ‘naturali’: allora esiste, diamine, un modo per non incappare nelle tremende puzze che attanagliano tanti vini a fermentazione spontanea. Certo, il fatto che l’aleatico sia un’uva aromatica dà una bella mano, il carico terpenico potrebbe nascondere qualcosa; ma a lungo andare il bluff verrebbe scoperto, mentre qui la bottiglia è stata aperta per giorni (seppure chiusa con tappo sottovuoto e conservata in frigo) e non ha ceduto nulla, il profumo è rimasto sempre delizioso.

In bocca invece ho avuto qualcosa da eccepire. Il vino è certo fresco, il tanino è presente ma non eccessivo e la fine del sorso è abbastanza lunga e saporita. Il problema è un eccesso di amarore, segnatamente più la sua diffusione che l’intensità. Un amarore che si percepisce appena il vino entra in bocca e dà l’impressione di diffondersi per l’intero cavo orale e non solo sulla lingua. Un amarore rotondo. Non un vino imbevibile, lo avrei scritto chiaramente o non ne avrei scritto affatto. Ad ogni modo si va oltre il mero gusto personale: un tenore di gusto amaro del genere va obbligatoriamente abbinato al cibo (che, ricordiamo, è scopo ultimo ed altissimo del vino) e comunque non ne esce domato. E se spendo 24 € in enoteca vorrei godermi pienamente il vino, non giustificarlo con dei “sì, però”, se non magari a livello di sfumature gusto-olfattive individuabili comunque fra i canoni della piacevolezza. 

È solo questo importante particolare a frenarmi dal dire di aver bevuto il vino migliore del mio 2022, peccato davvero. Ma riassaggerò i vini di Andrea Occhipinti, poco ma sicuro.