Alberto Quacquarini – Vernaccia di Serrapetrona DOCG

Nel gergo della NBA si definisce ‘Underdog’ il giocatore o la squadra che non gode della copertura mediatica che, per i valori mostrati sul campo, meriterebbe. Si potrebbe semplicemente tradurre in italiano con ‘sottovalutato’, ma il concetto del basket americano è più calzante perchè spesso capita che gli underdog si facciano notare con clamore, arrivando anche a vincere il titolo NBA (Dallas Mavericks 2011, Detroit Pistons 2004). 
Il parallelo con la Vernaccia di Serrapetrona DOCG è centrato: un paesello in provincia di Macerata di 1000 abitanti scarsi, una settantina di ettari vitati, pochissimi viticoltori; non esattamente le premesse per emergere nel panorama enologico italiano. Eppure questo è un vino che una volta provato non si può più dimenticare. È uno spumante unico nel suo genere, non in Italia ma nel mondo. Il metodo di produzione sembra ideato più da gente che abbia perso una scommessa che da prudenti enologi: minimo 85% di uve Vernaccia Nera provenienti dal territorio attorno a Serrapetrona [e va bene]; di queste uve al massimo il 60% può essere vinificato tradizionalmente [e ok] e minimo il 40% (e solo di uveVernaccia Nera) deve essere lasciato appassire e vinificato separatamente [ah!]. Il mosto di uve appassite può fermentare separatamente oppure essere unito al vino nuovo, in sostanza avviene una seconda fermentazione. E le bollicine? Avanti con la terza fermentazione, solitamente Metodo Martinotti-Charmat, per valorizzare i dolci profumi della Vernaccia Nera. Insomma, ci troviamo di fronte ad uno spumante magnifico, ancora ignorato dalla maggior parte dei consumatori ma di assoluto valore.


La Vernaccia di Serrapetrona di Alberto Quacquarini, come riportato in retroetichetta, prevede l’appassimento del 60% delle uve, quindi la loro pigiatura e la fermentazione del mosto nel vino nuovo. Infine la terza fermentazione avviene in autoclave, un Martinotti-Charmat lungo. Di un rosso granato molto compatto, la prima sensazione olfattiva, immediatamente dopo la stappatura, è di salamoia. Ok, non il più invitante dei profumi, ma date al vino un minuto. Un po’ di ossigeno contribuisce al rilascio di tutta la complessità olfattiva che un vino del genere può dare: profonde note di frutta rossa matura, prugne e more, quasi frutta candita; profumo di qualsiasi tipologia di spezia (pepe nero? Ce n’è. Noce moscata? Certo che sì. Cannella, cumino, chiodi di garofano, anice stellato? Chiari e limpidi); anche profumi più cupi, tipici di uve rosse appassite, come pelle conciata, tabacco da pipa. Un naso davvero profondo. E il gusto non è da meno, con un ingresso fresco moderatamente pungente, con una dote minima di tannino, pienamente bilanciata da un residuo zuccherino che strizza l’occhio all’amabile. Persistenza assai duratura.
Un vino che tutti almeno una volta nella vita dovrebbero bere, quantomeno per cultura personale. Che poi una volta sola non basti, quello è un altro discorso.

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