Degustazione Fattoria di Fèlsina / Palazzo Prossedi, Hotel Villa Mercede, Frascati (17/10/2019)

Cosa accomuna una storica cantina del Chiantigiano ed una di recente istituzione posizionata all’estremità meridionale dei Monti Lepini? In linea teorica nulla, i più arditi potrebbero ipotizzare il Sangiovese. Sì, ma c’è dell’altro. Un cognome soprattutto: Mazzocolin. Giuseppe è il nume tutelare di Fattoria di Fèlsina; sua figlia Caterina è dal 2017 consulente di Arianna De Rosa, la proprietaria di Palazzo Prossedi. In occasione della serata, organizzata dalla Fondazione Italiana Sommelier Lazio Est e presentata da Elvia Gregorace e dal presidente di sezione Alessandro Tozzi, è stata ripercorsa la storia di queste due cantine.
Storia particolare quella di Palazzo Prossedi (sito: palazzoprossedi.it). Arianna De Rosa non nasce viticoltrice. Lo diventa a tempo pieno nel 1998, quando prende in custodia le viti del nonno e sceglie di affinare in modo ‘moderno’ il vino e di imbottigliarlo. L’azienda piano piano cresce, non senza difficoltà. Alcune sono facilmente intuibili: la valle dell’Amaseno e i Monti Lepini non sono zone famose per il vino di qualità. Da quelle parti si vive una vita dura, fatta di allevamento ed agricoltura, dove la viticoltura è prevalentemente ad uso domestico e a farla da padrone è l’ulivo. Doveste mai fare una lista delle zone più ricche o prosperose d’Italia, la valle dell’Amaseno non rientrerebbe mai tra le prime 200. Emergere in un contesto simile è quindi già cosa dura. Metteteci anche che Arianna è una donna, un’evenienza che nel XXI secolo sembra ancora, vergognosamente, un problema per qualcuno. Questi ’qualcuno’ che, periodicamente e per dispetto, danneggiavano le sue viti, con grande danno economico arrecato ad un’azienda neonata. Mi ha colpito il viso di Arianna nel racconto di queste cattiverie: un sorriso costante. A dire “sì ma alla fine chi se ne frega, io sono andata avanti lo stesso”. Ad avere la metà del suo carattere… Caterina Mazzocolin capita in quelle zone pochi anni fa. Conosce Arianna, gira per le vigne, con l’enologo Dario Puccini assaggiano tutti i vini prodotti e scatta in lei una scintilla. “This is the place” disse Brigham Young arrivato nello Utah; più o meno la stessa cosa deve aver pensato Caterina, da come parla di questa sfida. Perché mettere Prossedi sulla mappa del vino non può essere nient’altro che una bella sfida.
Ma capacità e caparbietà devono essere doti di famiglia per i Mazzocolin. Ne è prova il successivo racconto di Giuseppe Mazzocolin. Andatura compassata, occhi azzurri, sottili e sereni, quando comincia a parlare Giuseppe è vulcanico, letteralmente. Uomo di profonda cultura e di visioni ampie e appassionate. Il racconto ha solo sfiorato i vini di Fèlsina; a Giuseppe premeva più raccontare l’importanza del comparto olivicolo per l’economia italiana, la necessità di piena consapevolezza dei nostri punti di forza agricoli da parte di tutti noi, il tornare a vivere la campagna, la previsione della futura risalita del Lazio ai vertici dell’enologia italiana (e volesse iddio!), l’importanza della valorizzazione e dell’espressione del territorio, che si parli di vino o di olio. È stata l’eruzione del St. Helens: una nube piroclastica di racconti, impressioni e speranze per il futuro di questo stivaletto pazzariello che popoliamo.
Dopo il risalto dato agli oli, naturale che la degustazione partisse proprio dall’assaggio delle 4 cultivar di Fattoria di Fèlsina (Pendolino, Leccino, Moraiolo e Raggiolo). Ora, io mi arrangio anche a parlare di vino, ma di olio non ho assolutamente titolo per dire alcunchè. Dunque bypasserò trotterellando questo argomento, mi perdonerete.
Vino, dunque. 
La degustazione comincia con i vini di Palazzo Prossedi, tutti Lazio IGT. Calcio d’inizio a carico dell’Altaica 2018, un bianco da uve Drupeggio o Canaiolo Bianco. E già la scelta di quest’uva dà modo di pensare: il Canaiolo Bianco è una varietà quasi scomparsa. Arianna lo ha ritrovato nella vecchia vigna del nonno, piantata nel 1950 assieme ad altri vitigni, ed ha deciso di vendemmiarlo per bene. Il vino risultante è un bianco importante, con un naso ben complesso, che regala note di tiglio, di miele d’acacia, di artemisia e una decisa mineralità iodata, con una leggera nota boisè a corredo, non imputabile all’uso di legno dato che l’Altaica fa solo acciaio e vetro. Una lunga persistenza in bocca e una discreta sapidità.
A seguire il Nero della Corte 2015, 100% Barbera. Naso di spezie, china, humus, che si apre poi su frutta rossa (amarene e tamarindo), sullo sfondo una leggera nota mentolata. Una bocca ovviamente fresca, una freschezza che rimanda all’arancia sanguinella, con tannino equilibrato.
Lo Sterparo 2013 è composto da 40% Sangiovese, 40% Barbera e 20% Merlot, il vecchio vigneto del nonno di Arianna. Il naso di questo vino, il quale sosta un paio di anni in barrique di primo e secondo passaggio, è oggi evoluto, si apprezzano tutte le note di terziarizzazione: cenere, incenso, cuoio, scatola di sigari, pepe bianco, noce moscata e chiodi di garofano. Ancora si percepisce una bella balsamicità. In bocca il palato viene dolcemente accarezzato dal vino, e questo nonostante il tannino ancora vibrante. Molto persistente, chiude su aroma di cacao e liquirizia.
Chiude Palazzo Prossedi con il Colle della Corte 2009, blend di 35% Montepulciano, 35% Merlot e 30% Barbera. Sfortuna ha voluto che il mio fosse l’ultimo calice della bottiglia, per cui assieme al vino mi è arrivata una gustosa ‘manicciata’ (termine tecnico) di tannini polimerizzati. Ma riconosco che ci sono sempre guai peggiori. Il naso è di terra bagnata e frutta rossa in confettura, noce moscata, un leggero chiodo di garofano e cuoio. Bocca ancora fresca e tannica nonostante i 10 anni di età, molto morbida e ricca di sapore.
Per quanto riguarda Fèlsina, sono state proposte due micro-verticali di due vini, entrambi Toscana IGT. Annate: 2016-2011; vini: Maestro Raro e Fontalloro.
Il Maestro Raro è Cabernet Sauvignon in purezza, l’impianto è del 1984. La 2016 è ancora giovincella, lo testimonia il naso di frutta rossa croccante, con la nota vegetale del Cabernet presente ma moderata, come moderata è la sensazione di créme de cassis (confesso: mai assaggiata! In questo caso relata refero), mentre si percepiscono bene cenni di legno e di spezie. La bocca è fresca e tannica, equilibrata nonostante la gioventù. La 2011 invece porta con sé un profumo più minerale, terragno e soffuso. L’ematicità si sente bene, il vegetale è notevolmente affievolito, emergono note di pepe e di frutta matura. L’ingresso in bocca è molto delicato ma si lasciano apprezzare ancora le durezze, segno che il vino ancora può ben maturare.
Il Fontalloro invece è un monumento del vino italiano, un 100% Sangiovese meraviglioso. Uno dei primi Supertuscan, nato dalla fiducia riposta nel Sangiovese e nel rifiuto di seguire il disciplinare del Chianti Classico dell’epoca, che costringeva a mitigare il Sangiovese con saldi di Canaiolo, Colorino, Malvasia Bianca Lunga ed in seguito di Trebbiano. Oggi sappiamo che l’azzardo di ‘declassarsi’ ad IGT ha pagato i dividendi più alti in Toscana, regalandoci tra gli altri questo vino sontuoso. 
L’annata 2016 regala un naso ampio. Ma ampio davvero. C’è la rosa, il cumino, la terra umida, i frutti a bacca rossa, l’arancia rossa, le spezie scure, la nota ematica… c’è tutto! Bocca equilibratissima, tannino abbondante ma la freschezza del vino lo bilancia egregiamente. La persistenza è lunga e tenue. L’annata 2011 ha un profumo ancora molto intenso, dove cominciano ad apprezzarsi fra le altre note evolutive di pelle conciata, di frutta matura, tabacco, spezie dolci e concentrato di pomodoro. In bocca è vivissimo, è fresco e ancora piuttosto tannico, un manto di velluto. Sono assolutamente innamorato del Fontalloro.

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