Visita in cantina: Poggio Bbaranèllo , 15/12/2020

 

E mo la pandemia, e mo le ferie al lavoro posticipate, e mo il rinvio del corso WSET Level 3 che avrei dovuto seguire la settimana dal 14 al 18 dicembre (e che è stato spostato a fine gennaio; ma tanto lo rinviano, oooh se lo rinviano nuovamente. Grazie Covid, avessi anche rotto tre quarti di..), e mo tutto questo, le alternative erano due: mettermi a pulire casa con mia moglie o andare in visita ad una cantina. “Allora ciao amore mio, io vado eh”.

Già, ma quale cantina? Quale criterio utilizzare per scegliere il destinatario delle mie attenzioni? Il blasone, il numero di etichette, le diverse tipologie di vini. Ero piuttosto indeciso, quando in un flash mi sono ricordato di questa azienda appena nata, sorretta solo da due ragazze (hanno più o meno la mia età: sono delle bimbe), in zona Montefiascone: Poggio Bbaranèllo. Ok, pieno alla macchina e si va.

All'arrivo mi accolgono Silvia, Argo, Lola e Michele. La bipede è solo la prima, gli altri tre sono due simpatici cagnolini ed un gattino dotato di un appetito implacabile. Il casale si trova al termine di una ripida discesa ed affaccia sui vigneti aziendali, posti su dolci pendii. Sono circa 4 ettari a 400 metri slm piantati a trebbiano toscano, qui chiamato procanico, trebbiano giallo, altresì detto roscetto, e malvasia lunga, quest'ultima priva di soprannomi a me noti.



Il progetto è recente poiché sia Silvia che sua moglie Lisa non hanno alle spalle decenni di vendemmie e tradizione contadina. Ad un certo punto prende la botta di matto e ci si ritrova a potare, scacchiare, defoliare, vendemmiare e marcare i vini in affinamento disposti a zona 3-2 (è basket, apprenderete anche qualcosa su questo sport meraviglioso seguendomi). Silvia viene da una laurea in matematica, lei e Lisa vivono e lavorano a Roma, saremmo parecchio lontani dal vino. Eppure eccole qui, da sole a gestire vigneto, casale e cantina facendo la spola tra Montefiascone e Roma ogni settimana. Alla fine Forrest Gump si sentiva un po' stanchino per molto meno.



La visita è proseguita in cantina: un locale piuttosto piccolo con quattro serbatoi inox, due barriques esauste e un'anfora nata sotto una cattiva stella. Ed è bellissimo, è questa la vera artigianalità del vino: non la cantina mastodontica con impalcature di barriques progettate da Santiago Calatrava, non la neo-cantina finto-new age in armonia con i ritmi del cosmo e delle banche, ma una stanza riadattata a cantina, con la giusta inerzia climatica e gli attrezzi del mestiere; un posto che il visitatore potrebbe riconoscere come familiare, quasi come se quella cantina l'avessimo già vista, magari proprio sotto casa.

Ma ritorniamo alla cronaca; anche perché sarà bella l'artigianalità, ma se poi i vini sono indecenti abbiamo fatto l'arte per rimetterci. Spoiler: i vini sono più che decenti. Ovviamente la filosofia globale è interventismo ridotto all'osso e fermentazioni su piede di lieviti indigeni. Silvia ha spillato per me ogni vino dell'annata 2020 attualmente in affinamento, e le prospettive sono molto interessanti.

Si parte con il T1, ossia il trebbiano toscano vinificato in bianco, inox. È la prima uva ad essere vinificata, da qui il nome che manda baci alle scienze matematiche tanto care a Silvia: T1 si può leggere “T-con-1” e tradurre con “trebbiano al tempo 1”. Il vino è intensamente profumato, di fiori bianchi, mela golden, agrumi e frutta tropicale, una bella dotazione per un 'semplice' trebbiano toscano, con una bocca fresca e molto fine.

Si prosegue con il RM, leggibile con “roscetto macerato”, il cui protocollo di vinificazione ha subìto un drastico ridimensionamento rispetto all'annata 2019, giovandone clamorosamente: invece di macerare il 100% della massa di uve, nel 2020 si è scelto di lasciare solo il 30% delle vinacce in macerazione per 15 giorni, inox anche qui. Il risultato è un vino che profuma di albicocca, miele e mandorla fresca e che in bocca ha una discreta freschezza, ancora un po' di residuo zuccherino e un clamoroso allungo in bocca, fruttato ed elegante.

Il successivo a finire nel calice è stato l'AT, acronimo di “anfora trebbiano”, lo stesso trebbiano toscano del T1, vendemmiato lo stesso giorno. Anche per l'anforato il protocollo ha visto lo stesso ridimensionamento riservato al RM, con il 30% della massa delle uve in macerazione, salvo che nel coccio le vinacce ci sono ancora. Il profilo olfattivo del vino spillato è più severo rispetto al fratellino T1, così come lo è la bocca. Un vino decisamente gastronomico, molto sapido, con il trebbiano a restituire il terreno tufaceo regalo del lago di Bolsena fu vulcano.



Avevamo parlato di due barrique, no? Bene, lì dentro c'è ad affinare un ciliegiolo vendemmiato da Silvia e Lisa nel vigneto di un loro conoscente, un vino ancora senza nome. Succo color porpora brillante, tante ciliegie croccanti e lamponi al naso, bocca ancora molto fresca con un tannino gentile, lunga persistenza fruttata e corpo leggero.

L'ultimo assaggio è il più emozionante: il 507, un metodo ancestrale da trebbiano toscano. Cosa è un metodo ancestrale? Il termine sembra ostico ma in realtà la spiegazione è molto semplice: si vendemmia l'uva si comincia a far fermentare; poi a un certo punto “ok stoppate la fermentazione”, “ma ci sono ancora degli zuccheri”, “obbedite”; a quel punto si imbottiglia il fermentando vino con lieviti, enzimi e tutto quanto, facendogli poi riprendere la fermentazione a guisa di metodo classico. Silvia ha effettuato il dégorgement appositamente per me su una bella 2020 fresca fresca. Emozionante il processo e bevibilissimo il vino: gelsomino, pompelmo e un lievito moderato a profumare un sorso assai goloso. Ah, come mai il nome è 507? Beh, perché della prima edizione del vino ne erano uscite fuori 507 bottiglie, per cui… C'è una logica in tutto a Poggio Bbaranèllo.



La visita finisce con l'acquisto di alcuni loro vini e con la convinzione che queste due ragazze abbiano appena cominciato un percorso molto interessante. L'aggettivo interessante è spesso usato a caso, quando serve un aggettivo per tutte le stagioni si usa 'interessante', ma qui è assai calzante: il loro lavoro è appena cominciato eppure già mostra grande validità; inoltre, per questo modesto blogger, i vini annata 2020 saranno ancora meglio dei 2019. Aggiungiamoci che il loro intento dichiarato è imparare, sperimentare e migliorare, ed ecco che la sensazione più stimolata nell'appassionato non può che essere l'interesse.


P.S.: vi chiedete perché Poggio Bbaranèllo, con due B? Perchè è il nome in dialetto locale del vento di tramontana che spesso accarezza i filari di vite, facendoli sentire tra l'altro come Ernest Shackleton.


Nessun commento:

Posta un commento