Casale della Ioria – Cesanese del Piglio Superiore Riserva “Torre del Piano” 2016

 

Cominciare un pezzo riguardante il Cesanese del Piglio senza dire “l’unica DOCG rossa del Lazio” sarebbe da folli. Molti di voi avranno pensato “sì, me la ricordo al corso sommelier questa DOCG” e poi stop. Il pensiero finisce lì, e si passa a fantasticare del pasto serale. 

Il mio lamento è semplice: in Italia non si beve Cesanese del Piglio. Non è un vino che si punta entrando in enoteca, a meno che non si voglia provare il brivido dell’ignoto. E dunque la prima ‘G’ laziale conquistata da un vino, nel 2008, non ha avuto il ritorno sperato almeno sul mercato nazionale. A ciò ha contribuito anche la mancanza di un fronte comune tra le aziende. Ognuno ha percorso la propria strada e il proprio stile, con il risultato di non aver diffuso un’idea chiara di cosa sia un Cesanese del Piglio, al netto delle singole differenze di ogni vigna (perché l’uva cesanese legge il terroir in maniera meravigliosa). Ci sono Cesanesi concentrati e leggeri, che fanno botte grande o barrique, convenzionali o biodinamici, dalle rese scarse o spinte al massimo consentito dal disciplinare. Una caponata in salsa ciociara.

In questo turbinio di stili, Casale della Ioria rappresenta un’azienda-faro di questo angolo del Lazio, con una gamma di Cesanese di tutto rispetto, a partire dai base fino ad arrivare al Torre del Piano, il quarterback della squadra. Un Cesanese del Piglio da tramandare ai posteri, un vino di assoluto livello. Posso spingermi così oltre con le parole perché ho avuto la fortuna di partecipare circa un anno e mezzo fa ad una verticale di 10 annate di Torre del Piano, dalla 2016 alla 1999. E, sebbene il Cesanese dia il meglio di sé tra i 5 e i 10 anni, anche dopo 20 anni il Torre del Piano non cede all'uso del bastone.

 


Le uve del Torre del Piano sono tutte cesanese d’Affile, il biotipo dall’acino più piccolo e quindi più carico di aromi. Le uve, provenienti da un terreno ai piedi dei Monti Ernici a 400 metri di altitudine, vengono raccolte manualmente ad inizio ottobre. Il mosto, a contatto 10 giorni con le bucce, fermenta in acciaio, stesso locale dove avviene la malolattica, per poi passare ai barili di rovere e quindi in bottiglia.

Veniamo ai giorni nostri e alla 2016 sacrificata per scopi ludico-didattici. 

Il colore è un bel rosso rubino piuttosto compatto con bordura granata. Il naso è piacevolissimo, molto elegante. Tra le numerose componenti, tutte molto coese fra loro, svetta la speziatura, marcatore tipico dei Cesanese, con note di pepe, di leggera vaniglia e soprattutto, attenzione attenzione di cardamomo! Certamente, il cardamomo non solo esiste, non solo è una spezia magnifica, ma è anche un tipico descrittore dei vini a base Cesanese fatti a mestiere. Ma non di sole spezie si ammanta questo vino, giacché emergono molti altri profumi: violetta e glicine, marasca e mora sotto spirito, china, rabarbaro, tanto mirto, sottobosco e humus ed una nota tostata di cacao.

La bocca è duale, è al contempo nervosa e gentile, la freschezza è ancora vivace ma le componenti morbide sono ben presenti. L’ingresso in bocca è pseudo-dolce, sensazione probabilmente dovuta sia al periodo di raccolta delle uve che ai 15% di alcol, ma questa pseudo-dolcezza iniziale dà subito strada ad un gusto ben definito, sapido e con un lieve amarore. Il tannino è giusto ed è educatissimo e il sapore molto intenso di questo vino resta nel cavo orale per lungo tempo, una tenace chiusura speziata. Ah, un particolare: i gradi di alcol saranno anche 15%, ma sono impercettibili. L’equilibri di questo vino è impressionante.


 

 

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