Agnanum – Falanghina Campi Flegrei DOC 2019

 

Io penso di essere chissà cosa. La confessione da lettino dello psicologo è necessaria e nemmeno troppo cervellotica. Mi sono diplomato sommelier da poco tempo, dunque credo di conoscere il vino, dunque cerco vini profumati e dalla personalità riconoscibile per poter dire “ecco, vedi, questo profuma di guttaperca slovacca, di centrini de pora nonna e di gladiolo spampanato a chiazze”. Dunque snobbo i vini semplici. I vini dove si vede chi sa davvero il vino e chi no. Perché a trovare il peperone nel cabernet sono bravi tutti, mentre per descrivere con competenza i profumi di un trebbiano toscano o di un grignolino bisogna essere bravi per davvero. Io bravo non lo sono e questi vini li snobbo accuratamente.

Poi arriva un’occasione, un ordine importante di vini e una lista di etichette stilata dal sottoscritto. La lista è stata sottoposta alla cortese attenzione di alcune persone che stimo, per avere il conforto che stessi investendo bene le sudate cart(amonet)e. Ed una di queste persone ha buttato lì qualche suggerimento ulteriore. 

La persona in questione è Alessio Pietrobattista, degustatore dall’esperienza pluriennale e coordinatore di Slow Wine per il Lazio. Io non so per quale motivo seguiti a darmi immeritata attenzione ogni volta che gli scrivo, ma spero continui a farlo perché ogni volta che ci ho parlato ho imparato qualcosa. È stato il Pietrobattista a suggerirmi questo vino che, pavido come sono, non compariva tra le mie prime scelte al draft. Ma siccome sono sì pavido, ma anche uno scolaro diligente, ho accettato il consiglio ed eccomi qui ad affrontare un vino che mi impensierisce. 

Sono serio, la falanghina è un’uva che dona acidità, che dà mineralità, ma che a livello olfattivo mostra poca esuberanza. È un vino concreto, quotidiano, pochi orpelli, pochi fronzoli. Carpire l’essenza di un vino del genere richiede esperienza e sensibilità. Io non ne sono provvisto ma mi darò da fare.

 



La Falanghina di Agnanum nasce su un terreno che definire impervio è riduttivo tanto quanto dire che Henri Cartier-Bresson scattava delle belle foto. Si è nella riserva naturale degli Astroni, in pieni Campi Flegrei, e le foto dei vigneti sono eloquenti. Solo qualcuno veramente innamorato di questo mestiere come Raffaele Moccia potrebbe sostenere la fatica di inerpicarsi su quei terrazzamenti per curare le proprie viti. Ah, ovviamente la conduzione del vigneto è esclusivamente manuale e così resterà, almeno fin quando il jet-pack non diventerà un mezzo di locomozione di serie e a buon mercato. 

Nel calice il vino è di un giallo paglierino con qualche riflesso verde. Al naso i profumi sono falanghineschi: le fondamenta sono costituite dalla mineralità, che oscilla continuamente tra cenere e salsedine. Altre note ricordano il tiglio e la camomilla, intensi sentori di agrumi (pompelmo e limone) e una fragranza di crosta di pane.

Il sorso è secchissimo: è molto fresco ed ancora di più sapido, d’altro canto siamo in alto sui Campi Flegrei. Il sapore è intenso e in bocca resta a lungo questa lunga scia sapida. Il metodo Mercadini di abbinamento cibo-vino, su cui si basa tutto il terzo livello del corso sommelier, lo sconsiglierebbe fortemente, ma l’accostamento di questa Falanghina con degli spaghetti con le vongole può rivelarsi un azzardo vincente. 

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