Badia a Coltibuono – Chianti Classico DOCG 2017

Cioè, è un anno che siamo sull’internet e ancora non avevamo estratto del sughero da un Chianti? Vergognoso, ma la lacuna è stata colmata. 

Il Chianti soffre purtroppo di scarso appeal nei confini nazionali. Mentre all’estero la denominazione è assai considerata (controllare la percentuale di bottiglie dedicate ai mercati esteri o anche consultare il libro di testo WSET per averne un’idea), da noi il Chianti, che sia Classico o che provenga da una delle 7 sottozone facenti parte della denominazione, è sempre e comunque associato al caro e vecchio fiasco. Vi potete anche sbattere per terra e declinare le diverse sfumature del Sangiovese a seconda del fazzoletto di terra dove cresca, il Chianti verrà comunque visto come il vinello nel fiasco, senza pretese e buono giusto per le braciolate. 

Ammetto di subire anche io il fascino di molte altre denominazioni anteposte al Chianti, ma a questo vino va resa giustizia. Per rispetto verso la sua storia plurisecolare, verso il vitigno più coltivato in Italia e che in Toscana eccelle realmente, e verso il fatto che esso ci rappresenta all’estero, per quanto ci sforziamo di snobbarlo a casa nostra. Con tale senso di giustizia, munito di spirito di rivalsa, mano sul cuore e ‘C’ aspirata, ho comprato il Chianti Classico 2017 di Badia a Coltibuono, una delle aziende simbolo del Chianti Classico, localizzata a Gaiole in Chianti.

Prima però vi tocca la lezioncina del Catcher, ma sarò sintetico e divertente, come il protossido di azoto: bambini, Chianti e Chianti Classico sono la stessa cosa? Esattame… no. Chianti DOCG e Chianti Classico DOCG sono due denominazioni distinte e separate. La prima ha un’estensione notevole, è frazionata in sette sottozone (Colli Senesi, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colline Pisane, Montalbano, Montespertoli e Rufina), da disciplinare deve essere prodotto con minimo il 70% di Sangiovese e permane ancora un 10% opzionale di uve a bacca bianca, retaggio della vecchia ricetta del Chianti del Barone Ricasoli. La seconda denominazione invece è limitata a pochi comuni nei territori fra Firenze e Siena, ha rese più basse, la percentuale minima di Sangiovese sale all’80% e non sono previste uve bianche nell’assemblaggio. Questo per rimanere il più possibile stringati. 


 

Il Chianti Classico di Badia a Coltibuono è didattico. Prodotto con il 90% di Sangiovese e il restante 10% da Canaiolo, Ciliegiolo e Colorino, la macerazione delle uve raggiunge le tre settimane, con follature e délestage. L’affinamento avviene in botte grande (da 15 a 25 hl) per 12 mesi. Il colore di questo vino è di uno spettacolare rosso rubino, trasparente come è giusto che il Sangiovese sia.

Anche il naso è didattico: i sentori principali sono spezie (chiodi di garofano, pepe nero e cannella), terroso di humus e bacche rosse croccanti. Si sentono anche note di macchia mediterranea e molte note vegetali, di artemisia. C’è un accenno di tostatura, di tabacco e un sentore abbastanza intenso di citronella.

In bocca si apprezzano principalmente tannino e grande freschezza, segno che il vino è ancora piuttosto  giovane, con un tenue cenno di morbidezza al palato verso il finale. L’aroma di bocca è incentrato su frutta rossa e sensazioni terrose. Al corso sommelier viene spiegato che, per le particolarità del territorio e del vitigno stesso, il Chianti Classico è tipicamente austero. Io, dietro il banco, immaginavo un’allegoria della signorina Rottermeier, con simpatia. E invece, bevendolo, la definizione è calzante. L’austerità è data da questa quantità di tannini ed acidi, che costringono il bevitore ad avere pazienza, ad attendere del tempo per godere appieno del Chianti Classico, pena l’avere a che fare con un signore distinto ed elegante ma dai modi distaccati e dallo scarso sorriso.

Ce ne sarebbero di storie da raccontare sul Chianti: la ricetta del Barone Ricasoli, il 1716 impresso nel logo, la possibilità di produrlo anche esclusivamente con il solo Sangiovese, possibilità introdotta dopo una sanguinosa diaspora di produttori che preferirono imbottigliare i loro Chianti come Toscana IGT pur di realizzarli di qualità superiore. 

Al prossimo post vi racconto una bella storiella, và: la leggenda del gallo nero, simbolo del Chianti Classico.

Mi restino cortesemente lor signori sintonizzati.

 

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