Arunda – Metodo Classico Extra Brut Riserva 2013

Anno di grazia 2013. Jorge Mario Bergoglio viene eletto papa; erano ancora tra di noi Angelo Bernabucci, Pino Daniele, David Bowie, Robin Williams e Prince; Gazzelle e Fulminacci non figuravano nel mondo musicale; la bacheca di Lewis Hamilton ospitava un solo titolo di campione di F1; Temptation Island non esisteva (bei tempi andati). I ragazzi di Arunda, in una cantina a 1200 metri presso Mölten/Meltina, in Südtirol/Alto Adige, lavorano le uve (60% Chardonnay, 40% Pinot Nero) da destinare alla produzione dello spumante che, quasi 7 anni dopo, varca la soglia di casa del vostro narratore enoico preferito.

Gli sforzi dei nostri valorosi, con a capo Josef Reiterer, il demiurgo di Arunda, sono tutti diretti verso un unico obiettivo: spumanti metodo classico. La tradizione altoatesina del vino è fondata soprattutto su cantine cooperative, che racchiudono un grande numero di soci; il concetto principale è: più l’uva è di alta qualità, meglio viene pagata. Josef Reiterer, seguendo un po’ lo stesso concetto,  va ad acquistare i vini base da piccoli produttori fidati, occupandosi dell’assemblaggio e dell’affinamento nella propria cantina in altura. Che poi, a pensarci, i vini base bisogna anche portarceli lì su, a 1200 metri. Ok che non si va più a dorso di mulo, ma converrete con me che una leggera fatica la si fa comunque. 

Ma poi perché una cantina proprio lì su, fra le aquile, a parte la splendida visuale (che poi può funzionare se sei un agente immobiliare, non uno che progetta di passare la vita a rigirare champagnotte sulle pupitre un ottavo di giro ogni tanto)? Reiterer sostiene che l’altitudine incida soprattutto sulla temperatura, convinto che gli elevati sbalzi termici agiscano positivamente sull’affinamento degli spumanti. Non ho strumenti per confutare o accettare questa tesi, di sicuro un così copioso dispendio di kj (kilojoule per i meno avvezzi) ha senso solo se il prodotto finale è di alto livello. A mio insulso parere, l’Extra Brut Riserva 2013 lo è.




Sboccatura a gennaio 2020, 60 mesi sui lieviti, con ampi margini di invecchiamento ulteriore in bottiglia che, mi perdonerete, ho bellamente ignorato per pura avidità.

Nel calice la tonalità cromatica è più sul dorato che non sul paglierino, con un perlage perfetto ed una spuma persistente ma non eccessiva.

Al naso questa riserva 2013 è incantevole: partono i sentori di mela, di pompelmo e la classica nota di forno, di croissant. Poi si affaccia la nocciola tostata, la nespola, cenni di ghiaia, quasi di pietra bagnata, e sul finale si avverte un sentore di fichi secchi. Sì, di fichi secchi. Un naso complesso e di grande fascino.

In bocca è di grande effetto, con l’iniziale freschezza e pungenza della carbonica che cedono il passo ad una morbidezza per nulla scontata e molto gradita come sensazione. La sapidità è evidente e il sapore di questo metodo classico è di enorme finezza, intenso e allo stesso tempo molto delicato. Grande persistenza gustolfattiva, con finale di bocca lievemente ammandorlato. Un ottimo metodo classico, che conferma quanto sappiano lavorare bene i sudtirolesi.

 

P.S.: è stato volontariamente escluso qualsiasi paragone con Trento DOC, Alta Langa, Franciacorta fino ad arrivare allo Champagne, sarebbe stato ‘troppo italiano’.

 

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