Stefano Amerighi – Cortona Syrah DOC 2015

La bottiglia in questione è di quelle serie. Il vignaiolo in questione è di quelli seri, con un piano preciso e la determinazione di porlo in essere: Cortona, Syrah del Rodano e biodinamica. Cortona è l’enclave italiana del Syrah, dove quasi ‘Rodaneggia’ (locuzione orribile, lo so, ma è figurativa. Perdonatemi ancora) poiché terreno e clima, fatte salve le differenze latitudinali, sono piuttosto comparabili. Stefano Amerighi però non lascia nulla al caso: attorno ai primi anni 2000 va a selezionare le barbatelle di Syrah direttamente nella valle del Rodano e le mette a dimora in quel di Poggiobello di Farneta sui due poggi aziendali, con esposizione sud e sud-ovest (9 ettari in totale). Ciliegina sulla torta è la filosofia biodinamica che Stefano applica dagli esordi in vigna e cantina: le attività vengono scandite dalle fasi lunari, l’uva viene pigiata con i piedi, ovviamente nessun aiuto farmaceutico, solo lieviti indigeni e assenza di macchinari di pompaggio per i trasferimenti del vino da un contenitore all’altro. La serietà di questa filosofia viene comprovata dalla certificazione “Demeter”, l’associazione privata che certifica il rispetto delle pratiche agricole biodinamiche. E questo è un aspetto che apprezzo molto, dato che buona parte dei produttori che si dichiarano biodinamici poi non esibiscono alcun certificato (e il millantato credito è lì, dietro l’angolo, pronto a fare un fragoroso “bù”). Beninteso, da solo questo attestato non mi aggiunge o toglie nulla al valore del vino. Ma mi fa senz’altro un’ottima impressione vedere che chi dichiara di seguire certi dettami non mostri timore nel farlo certificare.
Avevo timore nell’approcciare questo vino. Sinceramente. Un vino celebre ed un vignaiolo celebrato. Vedevo assai facile la quaglia. Definiscesi ‘quaglia’ la capacità di cannare completamente il giudizio oggettivo del vino, coprendosi di ridicolo ai propri occhi. Come sempre il mio essere pragmatico mi ha tolto d’impaccio: “sono due mesi che sei in clausura, esci solo per andare al lavoro o a fare spesa, hai la fortuna di avere davanti questa bottiglia, non devi renderne conto a nessuno, non hai obblighi commerciali o redazionali con chicchessia, ma vuoi dannazione bertela e basta?”. Sì sergente istruttore.


Nel calice il Syrah di Amerighi è di un rosso rubino mediamente trasparente che nasconde riflessi violacei, i quali si manifestano roteando il calice. Il naso è magnifico. Istintivamente mi dà idea di un dualismo sincerità/eleganza. Mi spiego, prima della querela: sincerità perché mi riporta alla mente il vino del contadino, il vino un po’ rustico che faceva poro nonno; eleganza perché le sfumature odorose sono molteplici, della giusta intensità e per nulla banali. Tutti vi aspettereste una manciata di pepe nero, tipico del Syrah; invece la componente principale del profumo del Syrah di Amerighi è uno splendido fruttato, ciliegie e fragole su tutti, accompagnate da mirtillo e more di rovo. Il pepe nero c’è, non è che lo lasciamo in drogheria, però il suo contributo non è prevaricante, anzi è perfettamente incastonato. Altre note? Quante ne volete: un leggero humus, profumo di bosco, di mirto, di mandorla fresca, di glicine, una balsamicità notevole con note finali di cioccolata fondente e di grafite.
Bocca incentrata soprattutto sulla freschezza, senza scordare i 5 anni sul groppone. La prospettiva di affinamento è interessantissima. Ahimè, io avevo sete. Vino materico, con tannino molto soffice e sapidità moderata. Intenso e persistente il giusto, non è un vino che invade il cavo orale, ci mette le tende e dà pure una mano di vernice alle parti. Predominio netto delle sensazioni fruttate anche in bocca, una bocca anche qui elegante pur non nascondendo la sincerità del vino (nella descrizione di un vino ‘sincero’ può voler dire tutto e niente. Io spero di essermi spiegato adeguatamente). Sensazione da tener presente è l’amarore post-deglutizione, per nulla un difetto e favorevole nell’abbinamento con il cibo. Solo state attenti a non berlo da solo, senza accompagnarlo con cospicue libagioni, altrimenti potreste voi male interpretarlo e la quaglia sarebbe tutta vostra. 
Pensandoci, questo vino lo paragonerei a Pet Sounds, l’album dei Beach Boys. Il Syrah mediamente piace a tutti, così come i Beach Boys. Eppure non sembra che siano gli stessi fratelli Wilson di Barbara Ann e Surfin’ USA ad aver registrato Pet Sounds. Poi succede che lo ascolti, traccia dopo traccia, dedicandogli quel minimo di giusta attenzione, e finisce che ti cattura; e tu ringrazi la dea Amaterasu che quell’album sia così diverso dal surf rock. Ce li ritrovi i Beach Boys, non sono snaturati, ma sono di una complessità magnifica, che non avevi previsto e a cui non vorresti più rinunciare. Come il Syrah di Stefano Amerighi.



Nessun commento:

Posta un commento