Marchesi Antinori, Castello della Sala – Umbria IGT “Cervaro della Sala” 2015

Ecco, ora non è affatto facile. Non lo è per il calibro del soggetto, per la sua storia, per il nome. Ho davanti a me un vino monumentale, giustamente celebrato nel mondo. Ovvio che mi senta piccino picciò nello scriverne, più o meno come credo si sentì David Frost prima di formulare la prima domanda a Richard Nixon. 


Il “Cervaro della Sala” vede la luce nel 1985, annata pregevole anche in materia di esseri umani. I suoi demiurghi furono Renzo Cotarella e Piero Antinori. Il desiderio era di realizzare un vino bianco italiano, o meglio umbro, sul solco dei grandi bianchi francesi affinati in legno. Scelta vincente quella di affiancare allo Chardonnay un discreto saldo di Grechetto, uva umbra che trasferisce magnificamente il terroir al vino. Caratteristica del Cervaro è l’affinamento di 5 mesi in barrique, con conseguente svolgimento della conversione malolattica. Non è stato il primo bianco italiano a sonnecchiare in barrique (e neanche ve lo dico quale è stato il primo! Ha ha, che lenza!), ma certamente negli anni è emerso come uno dei vini più eleganti ed affascinanti prodotti nello stivale. Ancora oggi, dove il gusto generale è orientato verso una differente tipologia di vino, il Cervaro non cede un millimetro in fatto di fascino e carisma.
Sissignore, è un vino carismatico. Solitamente non antropomorfizzo (si può dire?) i vini. Anzi, se leggo caratteristiche umane associate a dei vini mi viene lo stesso sguardo di quando vedo Celentano recitare in romanesco. Eppure ogni tanto mi capita di percepire qualcosa in un vino che posso ricondurre alla sfera umana. E in questo caso il carisma è tangibile. Molto semplicemente: carismatico è qualcuno che entra in una stanza e fa girare la testa ai presenti, anche non conoscendo chi sia. È la stessa sensazione che ho avvertito al mio primo assaggio del Cervaro: terzo livello del corso sommelier FIS, quinta lezione, argomento: antipasti e salse. Vengono serviti due vini alla cieca, un bianco ed un rosso. Il bianco ha fascino, mi cattura, il naso torna sempre nel bicchiere. A fine lezione si scoprirà essere proprio il Cervaro della Sala 2016. Un assaggio memorabile.
Capirete dunque perché, di fronte a questo Cervaro 2015 trovato in sconto al 50% (!!!), non ho esitato mezzo secondo a mettere mano al portafogli, sorridendo istericamente, tipo Klaus Kinski in “Fitzcarraldo”. Tre giorni e il tappo è stato fatto saltare.


Ed eccolo finalmente, dorato brillante nel calice, che libera a poco a poco un bouquet odoroso fantastico. I sentori d’esordio sono di crosta di pane e di tostatura; seguono vaniglia e burro fresco, nocciola tostata, foglia di coriandolo, fiore di mimosa, melone bianco, mango e pesca gialla. A concludere note di pietra focaia, cenere di incenso e sparuti cenni di erbe aromatiche. Un naso ricchissimo e molto fine, non violento, per nulla eccessivo.
Si andrebbe avanti per ore ad annusarlo, ma grazie al cielo il vino si può anche bere, ed è l’apoteosi: la freschezza non paga pegno ai quasi 5 anni di età, una tenue morbidezza, bella intensità e persistenza misurabile in clessidre, con chiusura sapida ed aroma di bocca elegantissimo. 
Un vino stupendo. Le mie parole poco o nulla aggiungono a quanto già è stato detto o scritto sul Cervaro della Sala. Vorrei avere la padronanza lessicale e la cultura di un Armando Castagno per poterne dire cose più interessanti e sicuramente più competenti. Ma certamente, nessuno ha mai citato David Frost, Richard Nixon e Klaus Kinski parlando del Cervaro. Per ora mi accontento di questo primato.

P.S.: il vino rosso degustato alla lezione del corso sommelier era il Sassicaia 2014. E non l’ho compreso, non ho avuto l’epifania che mi aspettavo. Se qualcuno volesse contribuire a redimermi, accetto volentieri bottiglie di Sassicaia offerte in dono. Ovviamente tutto a scopo didattico eh, ci mancherebbe.

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