Monte del Frà – Veronese IGT Garganega “Colombara” 2015

Non so il perché, ma a me il nome Garganega ha sempre attratto. Forse perché ispira simpatia, dà già indicazioni sulla regione di provenienza (Garganega è un''interpretazione' dialettale di Grecanico; lo si comprende meglio provando a dirlo con cadenza veneta) ed esprime una certa umiltà contadina che i nomi dei vitigni internazionali non trasmettono. E, fintanto che il vino viene fatto dai contadini, reputo giusto che il nome dell'uva rispecchi più l'essenza di chi lo produce rispetto a chi lo beve. 
La persona da ringraziare per avermi fatto scoprire questo vino è Diego Borghese dell'Enoteca dei Principi, Roma. Sarebbe facile fare lo splendido sui social prendendosi la totale paternità di ogni contenuto; mi dispiace ma sono onesto e se conosco questo vino il merito è del buon Diego. Lo scorso maggio, in una delle sue classiche degustazioni del venerdì (assai rimpiante in questo periodo di clausura), ha proposto questa Garganega in purezza a chiusura di una serata incentrata sulle espressioni di questo vitigno.
Il “Colombara” di Monte del Frà è una Garganega proveniente da un vigneto sito a meno di 5 km dal lago di Garda, viti che hanno oltre i 30 anni di età, terreno di origine morenica con quote calcaree ed argillose. La particolarità di questo vino è tutta nella tecnica produttiva: a piena maturazione i tralci di Garganega vengono recisi e lasciati appesi in vigna. Dopo due settimane il vignaiolo riflette: “sono sicuro di essermi scordato qualcosa”, torna nel campo e raccoglie le uve parzialmente appassite. Vinificazione e maturazione per 6 mesi esclusivamente in acciaio, seguiti da imbottigliamento ed affinamento per almeno 10 mesi prima di finire in giro per il mondo.


Il vino in questione scende solido e sicuro nel calice, colorandolo di un lucentissimo giallo limone. Il naso è caleidoscopico: la caratteristica principale è questa nota fissa di cenere di incenso, quasi di lavanda essiccata, su cui si dipanano le altre note olfattive. Ci sono cenni di mimosa e di camomilla, di zucchero di canna, di ananas, nespola e albicocca, di scorza di limone ('zest' per i più sofisticati), di resina di pino, pan di spagna e miele d'acacia. Un naso assai interessante ed inconsueto. Non capita spesso di rilevare una tale complessità in un vino che non abbia neanche sfiorato il legno. La complessità del vino si ravvisa anche in bocca, dove l'ingresso è anche qui definibile come solido, con freschezza apprezzabile anche dopo 5 anni, con una importante componente di morbidezza al palato e con finale di bocca incentrato sulla sapidità, fugando i dubbi su un'eventuale dolcezza del vino che un naso del genere poteva alimentare; un finale di bocca davvero lungo, un'intensità gustativa da competizione.
Ovviamente la cosa più sbagliata da fare con questo vino è accostarci delle linguine alle vongole: verrebbero uccise una seconda volta, povere vongoline. No, questo vino si esalta al fianco di arrosti e formaggi importanti. Un vino corposo, soddisfacente, saporito e che vi accompagna fuori dall'enoteca ad un prezzo interessantissimo.

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