Abbazia di Novacella – Alto Adige Valle Isarco DOC Sylvaner 2018

Siccome l’Alto Adige è un posticino che ci garba parecchio, restiamoci. Questa volta saliamo di una cinquantina di km verso nord-est, in Valle Isarco, una delle sottozone della DOC Alto Adige. Valle Isarco vuol dire maggiore altitudine, dunque escursioni termiche pronunciate, dunque una finezza di profumo già discretamente auspicabile per i vini bianchi, che qui dominano la vallata. I vigneti dell’abbazia di Novacella si trovano tra i 600 e i 900 metri s.l.m., ben saldi nel terreno ciottoloso e sabbioso di origine morenica. L’abbazia, fondata nel 1142, produce vini praticamente da quell’epoca. E non bisogna mai dimenticare di ringraziare i monaci che mille anni fa, in tempi cupi per il vino, preservarono le vigne e studiarono come farle rendere al meglio, facendo in modo che oggi possiamo godere di quest’intruglio che ci piace tanto.
Del Sylvaner dell’abbazia di Novacella ne parlò anche Mario Soldati nel suo secondo viaggio nell’Italia del vino, trovandolo “di color giallo chiaro tendente al verdolino, leggero, secco, armonico, lievemente profumato, lievemente acidulo, lievemente frizzantino”. Lui, bontà sua, poté assaggiarlo direttamente spillato da una botte; io ho dovuto accontentarmi di una rapida incursione in enoteca.



La discesa nel calice del vino è piuttosto consistente, indicazione per nulla celata che il vino ha una discreta corposità. Nel calice si presenta di un bel giallo paglierino vivo. Il naso spoilera l’origine del vino, anche se venisse degustato alla cieca difficilmente si potrebbe dubitare della provenienza altoatesina. Il profumo è molto fine, spazia dai fiori (gelsomino, sambuco, ginestra) alla frutta matura (mela, pera, pesca e melone invernale), ad un accenno di resina, mineralità calcarea e leggera fragranza di lievito. La bocca è in linea con le aspettative: molto fresca, con sensibile caratterizzazione sapida, che non lesina sulla morbidezza e di lunga persistenza con ritorni agrumati. La frutta matura, la morbidezza e il corpo del vino sono anche donati dall’utilizzo di botti di acacia da 50 hl per la fermentazione ed affinamento del 25% della massa. Ciò permette di dare al vino una sorta di dimensione ulteriore, una ‘tridimensionalità’ che porta in dote una maggiore complessità rispetto al classico vino alpino tutto leggerezza e verticalità. E a noi di The Catcher in The Wine (quindi io soltanto) tutto ciò è piaciuto molto.

Nessun commento:

Posta un commento