Marco Ludovico – Puglia IGP Verdeca 2017

È semplice, molto semplice, giudicare un produttore di vino sulla base del vino top di gamma. Il vino di punta di un’azienda riceve la maggior parte delle attenzioni, viene coccolato, gli si leggono anche le favoline per farlo dormire sereno. Poi, quando è il momento di uscire sul mercato, si fa in modo che se ne parli, che i cantori dell’enofilia ne tessano le lodi. Il vino di punta è il frontman della band, quello che fa piangere le teenager e che può permettersi di fare crowdsurfing (“quanto cazzo sono British”, cit.).
Ok, ma gli altri vini? Se dovessimo giudicare le aziende solo per il loro vino base, il loro vino meno caro, queste come ne uscirebbero? A giudicare da alcuni assaggi, ci sono aziende che trattano il loro vino meno prestigioso con una considerazione di poco superiore all’acqua di bonifica dei tini di fermentazione. Poi ci sono persone serie, che dedicano attenzione anche alle loro bottiglie meno quotate, in modo che escano al loro massimo livello pur essendo le meno remunerative. Tipo Marco Ludovico.
Siamo al secondo vino del giovane vigneron pugliese su questo blog, il vino base della sua schiera: una Verdeca in purezza, vitigno bianco tipico delle Murge Tarantine. Ricordiamolo: siamo nella terra delle Gravine. Ciò significa solo una cosa: calcare, calcare e ancora calcare. Un terreno roccioso, non molto profondo, con poca gentilezza nei confronti della vite (che, beninteso, nei terreni poveri ci sta da dio. Avrei detto “ci sguazza”, ma in un terreno secco come fai a sguazzarci… vabbè, avete capito). In questi territori la Verdeca sviluppa una forte connotazione minerale, legando a doppio filo l’uva al proprio terroir.
La Verdeca di Marco viene raccolta manualmente una volta giunta a maturazione, quindi pigiata e il mosto fermenta solo con lieviti indigeni. Il vino prosegue l’affinamento in acciaio sur lie, con frequenti batonnages, per 6 mesi. Infine ad aprile il vino finisce in bottiglia, senza chiarifica né filtrazione. Sissignore, nella bottiglia ci sono i lieviti, il vino è col fondo, è velato (come dichiara lo stesso Marco sulla scheda tecnica), ci sono le fecce fini, insomma immaginatevela come vi pare. Inorridite anche, se ciò vi rassicura. Ma poi prendetene una bottiglia, aprite e bevete. Tanto il vino è buono e valido. Garantisco io.


La Verdeca scende dorata nel calice. Eppure non è tutto, c’è dell’altro. A calice fermo non si nota molto, ma roteandolo si nota una sfumatura rosa. Come sarebbe ‘rosa’? Ragazzi, questo è. C’è una bellissima sfumatura rosa all’interno del vortice che si crea con la rotazione del calice.
Il primissimo naso è un po’ imbronciato, come uno che si è appena alzato ma che avrebbe dormito volentieri un’altra mezz’oretta. Però questo tizio alla fine è una gran brava persona, e imbronciato ci resta davvero poco; una stiracchiata di braccia ed eccolo pronto ad affrontare la vita. Ok, mi riallaccio al profumo del vino: ci mette assai poco per passare dalla chiusura iniziale ad una sequenza di profumi. Si parte con un agrumato di limone e lime, seguono salvia e rosmarino, quindi ananas, pesca, nocciola e mandorla tostata, crosta di pane, liquirizia e zenzero candito. Ma ho volutamente lasciato per ultimo il sentore principale, quello che fa da sfondo a tutti gli altri sentori: una mineralità estrema, un potente sentore che ondeggia tra il salmastro e la polvere pirica. Non è soffuso, è ben deciso e dà un’idea di cosa ci aspetterà all’assaggio. Assaggio che denota una iniziale severità, una bocca bella secca, con freschezza ancora in evidenza nonostante i due anni di età; bastano però uno o due secondi e si apprezza anche una discreta morbidezza ed un gran sapore, intenso e molto persistente, con chiusura ammandorlata. Anche qui ho lasciato per ultimo la caratteristica principale, ovvero l’importante sapidità che il calcare delle Murge regala alla Verdeca. 
Io pensavo di essere a posto con l’assaggio, ma parlando con Marco ho avuto un interessante input: lui beve la sua Verdeca capovolgendo un paio di volte la bottiglia prima di versarla nel bicchiere. Un batonnage in bottiglia. Potevo esimermi? Il giallo dorato si fa appena appena velato, il profumo vede accrescere la fragranza del lievito, senza andare ad offuscare gli altri profumi, mentre in bocca aumenta di un poco la morbidezza e si mitiga l’ammandorlato finale. 

Fonte: upload.wikipedia.org
Avviso ai lettori, verrà adesso fatto un azzardato parallelo finale eno-artistico: bevendo ed ascoltando solo le sensazioni del ‘cuore’ e non della ‘testa’, un’immagine nitida mi è balzata alla mente: “The valley of the shadow of death”, una foto di Roger Fenton del 1855. Era la guerra di Crimea e Fenton fotografava una landa desolata coperta di rocce e palle di cannone. La mineralità, il profumo, il sapore di questa Verdeca mi hanno ricondotto istantaneamente a questa enorme fotografia. Potere delle suggestioni, quando si lascia che svolazzino libere.

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