Tenuta di Fiorano. Il vino dei Principi di Roma.

Sfruttando la scia dei Tre Bicchieri assegnati ai vini laziali, voglio parlare di quel posto iconico per la storia del vino che è la Tenuta di Fiorano. Il Fiorano Bianco 2017 ha appena ottenuto il premio del Gambero Rosso per il 2020, ma la storia della Tenuta di Fiorano parte da molto lontano. E, ricordando la visita organizzata lo scorso 11 maggio dagli amici di IncontriDiVite (Link Facebook), vado a riproporla qui. Perché è sempre una bella storia da raccontare.
Tutto parte nel 1946. Il Principe Alberico Boncompagni Ludovisi, proprietario dei 200 ettari della Tenuta e amante dei vini di Bordeaux, pensa “io voglio fare il mio personalissimo taglio bordolese. Un bordolese di Roma”. E insieme all’enologo Giuseppe Palieri pianta una decina di ettari a Cabernet Sauvignon, Merlot, Malvasia di Candia e Sèmillon. Il terreno è di quelli benedetti dal Signore per questo simpatico giochetto del vino, poiché trattasi di pozzolanelle, ignimbrite, insomma terra nera derivante dall’ultima eruzione del Vulcano Laziale, circa 360mila anni fa. Il catasto dà un’altra bella mano, poiché la Tenuta di Fiorano fa parte del comune di Roma. Lo volete un altro regalo? La Tenuta confina direttamente con quel rettilineo di larghi basolati che va da Porta San Sebastiano a Brindisi, meglio noto come Appia Antica. Natali principeschi, terreno vulcanico, Roma e la regina viarum: già con queste premesse la Tenuta di Fiorano poteva vivere di rendita. Ma andiamo avanti.
Il Principe Alberico tiene molto all’adozione di un regime biologico per la coltivazione delle viti, cosa peraltro mai cavalcata a fini di marketing; per lui era fondamentale rispettare il più possibile la terra e la natura. Sotto la supervisione del Palieri prima e di Tancredi Biondi Santi dopo (già, proprio lui), i vini cominciano ad uscire dalla cantina e la voce si sparge rapida tra gli appassionati. Il tutto senza pubblicità o strategie di marketing, Alberico non aveva nessuna intenzione di fare pubblicità al suo vino. Ciò nonostante quello che è uno dei primi tagli bordolesi italiani, il Fiorano Rosso, si fa largo per inerzia nel mondo del vino assieme ad un bianco monumentale, il Fiorano Sèmillon.
La notorietà della Tenuta di Fiorano è alimentata anche dalle piccole leggende che le aleggiano attorno. Una su tutte, la particolarissima tecnica di compravendita stabilita dai Boncompagni Ludovisi: oggi le bottiglie si trovano abbastanza facilmente, una volta invece l’acquirente doveva andare alla Tenuta per comprarne i vini. Se veniva ricevuto dalla cantiniera (perché il vino non te lo davano mica sempre, eh) veniva fatto entrare in casa e chiuso a chiave in una stanza. Sì sì, a chiave. E la porta della stanza presentava anche sinistre striature verticali impresse nel legno, per mettere ancora più a proprio agio l’acquirente. Non lo consolava granché capire che quella fosse la stanza dei cani, poiché lì dentro poteva restarci svariati quarti d’ora, giacché la cantiniera, una volta ricevuto il denaro e incarcerato l’acquirente, doveva andare a prendere il vino nell’inaccessibile cantina, ricavata in una grotta basaltica sotto i due granai simbolo della Tenuta. Cantina che solo Luigi Veronelli e un’altra decina di persone (forse) possono dire di aver visitato. Al suo cospetto l’Area 51 è un McDrive.
Dunque i vini della Tenuta di Fiorano erano ricercati in tutta Italia ed ognuno nel mondo del vino ne declamava lodi sperticate. Strada in discesa verso il successo planetario, come fu per il Sassicaia? Ma anche no. Nel 1998 il Principe Alberico decide di estirpare tutte le viti e di chiudere baracca e burattini. Forse l’età non più giovane, l’impossibilità di seguire personalmente il vigneto, la mancanza di prospettive aziendali hanno portato Alberico a questa scelta che, nel solco delle migliori tradizioni nobiliari, non poteva che essere letteralmente radicale. Finito. Grazie di tutto, addio.
Eppure, nel buio una candela: il nipote di Alberico, Alessandrojacopo, chiede allo zio di poter gestire il vigneto della Tenuta di Fiorano. Ne ottiene il placet. Nel 1999, sotto la supervisione di Alberico, reimpianta viti di Merlot, Cabernet Sauvignon, Grechetto e Viognier. E la Malvasia di Candia? E l’epico Sèmillon? Alberico ha posto il veto, non sarebbero stati reimpiantati. Perché? Silenzio.
Con l’opera del Principe Alessandrojacopo e dell’enologo Lorenzo Costantini si arriva infine ai quattro vini attuali della Tenuta, oggetto della degustazione a latere della visita: Fioranello Bianco, Fiorano Bianco, Fioranello Rosso e Fiorano Rosso.
Fioranello Bianco 2018 (50% Grechetto, 50% Viognier): mineralità importante, frutta esotica e macchia mediterranea importante per questo vino che fa solo acciaio. Agile e scattante in bocca, freschezza agrumata e sapidità bilanciate fra loro, lunga persistenza.
Fiorano Bianco 2016 (50% Grechetto, 50% Viognier): stesso uvaggio del Fioranello ma questo alberga un anno in tonneau da 10 hl di rovere di Slavonia. L’effetto del legno incide molto sul vino: frutta esotica ben matura, mineralità sempre presente (d’altronde con quella terra nera non poteva essere altrimenti), vaniglia, miele e burro fuso. Bocca speziata e morbida.
Fioranello Rosso 2017 (100% Cabernet Sauvignon): il naso conferma subito che si tratti di Cabernet, con il vegetale tipico del vitigno, corredato da spezie piccanti, sottobosco e bacche (ribes e mirtilli). Bocca tannica e persistente, finale di cacao. 12 mesi in legno da 500 l prima dell’imbottigliamento.
Fiorano Rosso 2013 (65% Cabernet Sauvignon, 35% Merlot): bouquet elegantissimo per il vino di punta della Tenuta, con il lungo affinamento in botti da 10 hl che dona sentori vegetali, ematici, balsamici, di frutta nera in confettura, di fiori appassiti, di pepe, di cuoio, di cacao amaro, di tabacco. Bocca molto gentile e vellutata, con molti richiami dei profumi prima percepiti.
Roma ha ancora il suo taglio bordolese, e questo è uno dei pochi casi in cui la denominazione non serve affatto (vedi la recente Roma DOC, cui ammetto candidamente di non aver ben compreso l’utilità nel panorama vinicolo laziale). In questo caso basta solo nominare il vino: il Fiorano.

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