Marco Antonelli – Lazio IGT Le Nuvole 2018

Lo confesso: riguardo i vini bianchi i miei gusti sono ancora, diciamo, un po’ ‘contratti’. Non impazzisco per i bianchi macerati o affinati in legno. Sono però sempre ben disposto al dialogo, in realtà spero tutte le volte che la bottiglia che ho davanti mi stupisca, che vada ad abbracciare il mio gusto personale pur rimanendo fedele a sé stessa, sia che abbia passato giorni interi in compagnia delle vinacce, sia che abbia dormito nel rovere.
In fondo il gusto è figlio del nostro tempo e la maggior parte dei vini bianchi viene ancora prodotta tramite pressatura soffice e uso dell’acciaio. Fino a poco tempo fa quelli erano i soli vini bianchi per me: la vinificazione in rosso delle uve bianche era roba che faceva solo poro nonno, e non ne veniva fuori un vino che svettasse per finezza organolettica. Poi i vignaioli naturali (ma non solo loro) negli ultimi anni hanno mostrato che esistono anche vini bianchi di concezione e di gusto differente (quelli fatti bene intendo), cosa che arricchisce il mondo del vino e prova ad ampliare le mie vedute.
Le Nuvole di Marco Antonelli nasce da anni di studio sullo sparuto numero di uve bianche sparse qua e là per i filari. Lo avevamo visto durante la visita ad Olevano Romano: viti di Trebbiano, Malvasia ed Ottonese nascoste tra i filari di Cesanese, come fossero state depositate sulla tela della Morra Rossa dalla nervosa mano di Jackson Pollock (bella questa, oh). Magari decenni fa queste uve bianche finivano tutte nello stesso tino del Cesanese, per andare ad ingentilire un vino altrimenti troppo ruvido e scontroso, quasi alla maniera del Chianti secondo la ricetta del Barone Ricasoli (non lo so eh, sto ipotizzando). Sicuramente oggi Marco e sua moglie Bianca le vinificano secondo un protocollo che più empirico non si può. Dice Marco: “ogni anno facevamo una vinificazione differente: un anno tutte le uve in bianco, l’anno dopo tutte in rosso, il successivo abbiamo giocato con i tempi di macerazione. Alla fine siamo arrivati al Le Nuvole di oggi, quello che ci è piaciuto e che ci piace di più”. Perfetto così.
Ottonese, vigna della Morra Rossa
Marco Antonelli e un grappolo di Trebbiano
Il Le Nuvole 2018 è fatto dunque a partire dall’Ottonese vinificato in rosso, al cui mosto e vinacce viene aggiunto il mosto fiore delle uve di Trebbiano e Malvasia. La macerazione viene protratta per 15 giorni, poi il vino affina in acciaio prima di essere imbottigliato entro un anno dalla vendemmia. Il vino è di un giallo dorato molto accattivante. Attenzione, questo non è il solito vinello caruccetto bianco, così come non è neanche il classico bianco macerato, che ha più tannini di un Gaglioppo. Il Le Nuvole richiede senz’altro attenzione; non è un vino da aperitivo, è vino da tavola apparecchiata e da portate piuttosto muscolari.


Il naso mette subito in guardia chi per caso lo abbia sottovalutato: appena aperto il vino dona note di fieno, liquirizia e legna (attenzione, questa nota olfattiva non c’entra niente con l’affinamento: il Le Nuvole neanche ci passa vicino ai contenitori di legno). Poi, mano a mano che il vino respira, escono fuori profumi di camomilla, crosta di pane, frutta secca e intensi cenni di salvia e polvere pirica. Passato altro tempo le note si ingentiliscono ulteriormente, con cenni di pera matura, di nespola e di marzapane. Rileggo quanto ho scritto, posso comprendere che sembri tutto troppo esagerato. Purtroppo (per chi non ci crede) questa è la verità: questo vino evolve magnificamente nel calice, ogni annusata è diversa da quella precedente e i sentori sono veramente tanti.
Al gusto si può incappare in un bivio, poiché il sorso sapido, molto sapido, ed il finale ammandorlato potrebbero confondere, sempre per il fatto che si parla di un bianco di concezione moderna (talmente moderna da essere un recupero delle tradizioni del passato). Ragione per cui, come dicevo prima, non berrei mai questo vino come aperitivo: un gusto così importante deve accompagnare primi e secondi, non tartine e salatini; soprattutto questi ultimi, messi accanto ad un vino così sapido, creerebbero un abbinamento da arresto! Io, molto ignorantemente (il terzo livello del Corso Sommelier, abbinamenti enogastronomici, ancora deve essere espletato. Ma è questione di settimane ormai. Vivaddio), ci abbinerei una pasta al ragù bianco o un agnello al forno, roba seria insomma. La persistenza di questo vino è vasta e lascia in bocca una piacevolissima freschezza agrumata.
Nota finale: una volta vuotato a dovere, nel bicchiere vuoto rimane un profumo buonissimo, cosa piuttosto rara per gran parte dei vini. Può voler dire tutto e niente, sia chiaro, ma a me pare un’ulteriore caratteristica positiva.

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