Lo scandalo del vino al metanolo – parte III; le conseguenze

 

Prima parte

Seconda parte

 

Scandagliata la storia dello scandalo nelle scorse puntate, qui siamo alla parte riflessiva: cosa ci ha lasciato in eredità questo scandalo?

 

Credo che non si possa non partire dalla prima e più grave delle sue conseguenze: 23 persone sono morte, un numero assai maggiore di persone sono state gravemente lesionate. Ecco, credo si debba sempre partire da questi dati se si parla di questo evento; da queste persone, che non vanno mai dimenticate. Lo dico perché spesso ho sentito citare con leggerezza questa tragedia, anche sottolineandone gli involontari risvolti positivi. Può darsi, ma va sempre premesso che a causa di esso 23 persone non ci sono più.

 

Un altro aspetto, che io stesso sottovalutavo ma su cui ho potuto riflettere grazie ad una recente discussione su Facebook: molti onesti piccoli vignaioli non hanno più lavorato per colpa del metanolo. Il vino lo facevano, ma non lo riuscivano più a vendere. Pensateci: siete in Piemonte ed è il 1987; andreste a cuor leggero a comprare una Barbera sfusa dal vignaiolo di turno? 

Per gli anni a venire il vino è stato venduto col contagocce, un intero comparto si è trovato d’improvviso senza entrate. Gente finita sul lastrico per colpa di un gruppetto di criminali che si credevano furbi. Un altro aspetto di questa tragedia oggi ignorato ma che ha avuto un impatto potente su tante famiglie.

 

Veniamo a quello che si sente dire più spesso dell’eredità del vino al metanolo: ha fatto bene al vino italiano, ha costretto a produrre vino di qualità.

Dunque, innanzitutto il vino di qualità non nasce nel 1986, ma ha radici ben più profonde. Certo, nella cultura contadina italiana il vino era un alimento aggiuntivo, grazie al potere calorico dell’alcol etilico, e quindi contava più la quantità della qualità; tuttavia una moltitudine di viticoltori italiani già vinificava secondo i dettami delle scuole enologiche francesi ed italiane. Per dire: nel 1986 erano già vini affermati il Sassicaia, il Tignanello, il Monprivato di Mascarello, il Fiorano Rosso, ecc. Quindi non è che in epoca pre-metanolo si bevesse solo aceto; semmai, dopo quell’episodio e la conseguente penuria di vendite, tanti viticoltori impostarono il loro lavoro su basi differenti: produrre meno vino ma di qualità superiore. Ci volle tempo, ma negli anni ’90 il vino italiano cominciò la sua risalita, le vendite aumentarono fino a prendere il volo; al contempo diminuì il volume di vini da tavola in favore di vini DOC o IGT. Anche per i consumi pro capite si registrò un progressivo calo, che faceva scopa con un aumento del prezzo speso per il vino. Il tutto è riassumibile dalla famosa frasetta da recitare in piedi sulla sedia la sera della vigilia: “oggi si beve meno ma si beve meglio”. 

 

Fonte: lafillossera.com


Resta il fatto che per bere meglio, per avere un innalzamento della qualità globale dei vini italiani, per educare al consumo consapevole di vino di qualità, è servito un evento tragico. Cosa per nulla infrequente in Italia. Prima di mettere un semaforo in un incrocio aspettiamo la carambola; per fare manutenzione ad un ponte c’è sempre tempo, finché quel traditore non decide di crollare. “Se non ci scappa il morto non siamo contenti”, un maledetto mantra. 

Dopo lo scandalo le analisi sul vino, dal fermentino alla bottiglia, vennero potenziate ed ampliate (dopo eh, mai prima, guai). Oggi possiamo dire che il vino, tranne per l’alcol etilico (che è scientificamente accertato essere dannoso; bevete con moderazione, disgraziati!), è uno degli alimenti più sicuri, e certo fra i più controllati. 

Questo vuol dire che sia solo succo d’uva? Piano. Va bene che è diventato svantaggioso manipolare il vino in modo truffaldino, ma ciò non toglie che si possano usare tutta una serie di minute, innocue e legali molecoline per aggiustare qua e là i connotati organolettici della bevanda di Bacco (per maggiori informazioni dare un’occhiata al fascicolo “cisteina nei Sauvignon Blanc friulani”, A.D. 2017). 

 

È cosa attuale la nutrita schiera di viticoltori che aborriscono l’uso della chimica di sintesi in cantina (occhio a parlare di chimica con me in termini troppo generici. Mozzico), il che ci conduce all’immane successo dei vini cosiddetti naturali dell’ultimo decennio. Siamo in un momento in cui quasi ogni cantina propone un proprio vino “d’impostazione naturale” al fianco dell’affermata pattuglia convenzionale, con irata avversione da parte dei vinnaturisti della prima ora; o tempora, o mores.

Riannodiamo un momento le fila: oggi spopolano i vini naturali; questi (ri)nacquero in risposta all’eccessivo interventismo dell’enologo in cantina, reo di snaturare il vino rendendolo una bevanda artefatta e non più sincera; bene, ma queste attenzioni maniacali in cantina derivano da quello scandalo, dalla sensazione generale che in cantina si facessero solo manipolazioni illegali e schifezze. Gli enologi lavorarono per dare dimostrazione che tutti i vini sul mercato erano perfetti, erano affidabili, si potevano e si dovevano bere. Poi vennero i vini naturali, ma solo dopo che il mercato riprese fiducia nel vino in generale.

 

Tutto torna maledettamente a quello scandalo. Mi domando “e se non ci fosse mai stato”? 

Probabilmente ci sarebbe voluto più tempo per arrivare a vini di maggior qualità; forse ci si sarebbe arrivati per colmare di un gap sempre crescente con altri paesi produttori; forse il movimento dei vini naturali da noi avrebbe avuto meno slancio.

Forse tutto questo. Certo molte persone sarebbero ancora vive o sane. Mi sembra evidente quale sia il piatto della bilancia più pesante.

Nessun commento:

Posta un commento