Amalia Cascina in Langa – Langhe Rossese Bianco DOC 2018


Siete mai stati a Roma? Suppongo di sì. Avete presente il Pantheon, per chi scrive l'edificio più emozionante dell'Urbe? Ritengo di sì.  Bene, proprio dietro al Pantheon si trova la basilica di Santa Maria Sopra Minerva, una chiesa dalla facciata un po’ prosaica che cela lo sfarzo neogotico del suo interno. Che c’entra questo col Rossese Bianco? Ci stiamo arrivando.

In Santa Maria Sopra Minerva si entra dall'ingresso principale, oltrepassando l'obelisco del Bernini con l'elefantino che mostra fiero le terga al convento in cui Galileo Galilei fu costretto ad abiurare le proprie tesi nel 1633. Oppure si può essere curiosi, girovagare lì attorno, ritrovarsi in via del Beato Angelico ed entrare nella basilica dalla porticina che immette nell'abside. Una piccola porticina, che fa entrare in una chiesa monumentale quasi di nascosto: roba per animi sensibili. Ed entrando da quell'ingresso ci si trova al cospetto della tomba del Beato Angelico, il meraviglioso pittore del primo rinascimento, patrono degli artisti. Un bell'esempio di serendipità, parola molto più attraente di “resilienza”, che avrebbe anche martoriato le gonadi.

Ricolleghiamoci al vino: abbiamo le Langhe (la basilica), dove troviamo le uve che tutti si aspettano: nebbiolo, barbera, dolcetto. Però, se si è provvisti di curiosità, si può osservare la Langa da un'altra prospettiva, rischiando di incappare in un'uva semisconosciuta. Io di curiosità ne sarei ben fornito, ma dal Beato Angelico (il Rossese Bianco) ci sono arrivato grazie a Paolo Boffa di Amalia Cascina in Langa e Rosanna Ferraro. Ed io sentitamente ringrazio.

Il rossese bianco è un'uva coltivata da un manipolo di giocatori d'azzardo tra le Langhe e la Liguria. Uva poco produttiva e caratterizzata da un discreto rossore degli acini maturi, dà un vino se vogliamo meno profumato rispetto al vermentino, che lo ha nel tempo soppiantato, ma con più ampi margini di invecchiamento in bottiglia. Quest'affermazione non può certo essere verificata da me, dato lo scarso tempo di permanenza in cantina delle bottiglie, ma, seppure in prospettiva, posso confermare le prospettive longeve di questo vino.

 


Il Rossese Bianco di Amalia Cascina in Langa, ultimata la consueta vinificazione in bianco in acciaio, a fermentazione ultimanda (“verso la fine della fermentazione” per i meno fantasiosi) viene scisso in due parti: metà del vino continua la fermentazione in acciaio, mentre l'altra metà la porta a termine in barrique. Seguono 12 mesi di affinamento sulle fecce fini per entrambi i contenitori, con periodici bâtonnage. Le due masse vengono infine assemblate prima dell'imbottigliamento.

Una prima sorpresa l'ho avuta già nel calice: il vino è di color giallo paglierino, insospettabile per un'uva che, seppur bianca, si chiama rossese e per un vino che, seppure per metà della massa, ha passato un anno in barrique. Una bella vivacità cromatica ed una bella consistenza del liquido.

Al naso imperano i sentori agrumati, su di tutti la buccia di limone, cui vanno a sommarsi albicocca, crema di latte, decisi sentori fumé e di nocciola tostata, miele e leggera pasta frolla in chiusura.

In bocca il vino ha una pregevole freschezza, caratteristica che unita a un discreto corpo fa pensare ad un'ottima capacità di invecchiamento. Il vino ha in dote anche sensibile morbidezza al palato, una grande sapidità e buonissime intensità gustativa e persistenza, con un finale di bocca che unisce la nocciola tostata all'aroma di limone. 

Siate curiosi, in giro per Roma come in campo enologico, che culturalmente parlando quasi sempre ci si guadagna.  

 

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