Santa Sofia – Valpolicella Ripasso Superiore DOC 2017

Il Ripasso è una bestiola particolare. Trova estimatori e detrattori parimente divisi. Sinceramente, mi è sempre parsa più un’operazione di marketing che una tecnica tradizionale e radicata nei secoli (accolgo con gioia una documentata smentita che colmi questa mia lacuna). Mi immagino la scena, studiata dai tre sceneggiatori di Boris: “che ci facciamo con tutte queste vinacce appassite?”. “Fermi tutti, c’ho un’idea: ripassiamoci il vino base. Così, de botto, senza senso”. “Genio”.

Comunque sia nata questa bestiola, un Valpolicella Ripasso fatto bene dà grande soddisfazione al palato, avendo più complessità rispetto al Valpolicella base e meno ‘impegno’ dell’Amarone. Ecco, dovessi inquadrarlo in una categoria, piazzerei il Ripasso nella categoria “vini indispensabili per gli universitari”. Innanzitutto il nome Ripasso è quanto mai adatto (e la vaccata l’abbiamo sparata). Poi ha dalla sua il fatto di essere un vino saporito, profumato, unisex e a buon mercato, ché gli universitari sono poveri. Infine ha sempre quel grado in più che fa tanto piacere dopo aver dato un esame, ad esempio, di chimica fisica (che poi, dopo chimica fisica, la maggioranza dei sopravvissuti vada giù pesante di gin & lemon è un’altra storia). 

Veniamo brevemente alla cantina Santa Sofia, la quale ha sede a Pedemonte (VR). Ecco, la sede è qualcosa che da sola varrebbe una visita e l’invidia di molti produttori: trattasi di Villa Serego. Se non vi dice nulla è tutto nella norma, finché non venite a conoscenza dell’architetto: Andrea Palladio. Sì, la cantina Santa Sofia ha il quartier generale in una villa Patrimonio dell’umanità UNESCO dal 1996. E i Rothschild muti.

 


Il vino è il classico blend di Corvina, Corvinone e Rondinella, che fermenta in acciaio, fa un bel tuffo nelle vinacce di Amarone e Recioto, nuotandoci per tre giorni, infine matura 9 mesi in botte di rovere di Slavonia da 50 hl.

Nel calice il vino è di un bel rosso rubino mediamente trasparente (o ‘trasparente ma neanche tanto’). Naso tipico del Valpolicella: l’apertura è tutta speziata, l’accoglienza è a carico del pepe nero, tanto pepe nero, spalleggiato da vaniglia e chiodi di garofano. Immediatamente dopo si sentono frutti di bosco sotto spirito, una punta di sottobosco, una gran balsamicità, violetta appassita, mirto, legno di cedro e cioccolato fondente. Una più che discreta complessità.

In bocca il vino è succoso, fresco, poco tannico, con una bella sapidità e una grande intensità. Di medio corpo ed apparentemente leggero nonostante i 14 gradi alcolici, chiude la lunga persistenza su note di frutti di bosco e pepe. Vino molto, molto piacevole. Magari avessi bevuto sempre così ai tempi dell’università.

 

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