Duca di Salaparuta – Terre Siciliane Rosato IGT “Calanìca” 2019

Incredibilmente, contro ogni aspettativa creata da questo 2020, sta arrivando l’estate. Sissignori, il caldo si sta finalmente palesando. E si avvicina di pari passo anche la ribalta per i vini bianchi, i quali sono pronti ad egemonizzare i pranzi e le cene estive. Perché siamo semplici in Italia: d’inverno vino rosso, e per favore che sia corposo; d’estate un bianco leggerissimo e freddo (non fresco, freddo). Bravi. Manca solo il classico brut accanto alla classica torta millefoglie zeppa di panna e poi è fatta, sarete riusciti a farmi imbestialire.

È proprio in questo periodo dell’anno che il mio spirito umanitario si manifesta, rendendomi cavaliere crociato di una categoria di vini che merita rispetto ed attenzione: i rosati.

Signore e signori, ma perché diamine non considerate mai di pasteggiare con un rosato? I vini rosati avranno almeno un centinaio di buoni motivi per essere selezionati. Ne sparo qualcuno in rapida successione: il colore è bellissimo, e l’occhio vuole sempre la sua parte, anche quando non lo ammette; possono essere bevuti a diverse temperature, senza starsi a dannare l’anima per un grado in più o in meno rispetto al loro optimum; sono versatili, abbinabili a carne, pesce, primi, verdure (ciò non vuol dire che il loro abbinamento perfetto sia con una tagliata di manzo, ma certamente la accompagnano meglio di un Trebbiano); collegandoci al punto precedente, possono iniziare, proseguire e concludere un pasto; hanno freschezza, complessità e intensità gustativa; sono mediamente economici, anche perché sono perlopiù pensati per essere bevuti hic et nunc, senza prospettiva di invecchiamento (eppure quanto mi incuriosirebbe una verticale di vini rosati).

Insomma, io di motivi per dare un’opportunità ai vini rosati ve ne ho dati un po’. Smettete di pensare che siano vini fatti con gli scarti di cantina e andate a prendere una bottiglia, per i ringraziamenti sono qui fino alle 20:00.

 

 

Il rosato “Calanìca” del Duca di Salaparuta è realizzato con differenti varietà di uve siciliane, non meglio specificate, ma sono abbastanza sicuro che il Nero d’Avola ne detenga il pacchetto di maggioranza. Le uve sono coltivate nella parte sud della Sicilia, a ridosso dell’agrigentino, a pochi passi dal mare. Vendemmiate a piena maturazione, vengono criomacerate e successivamente pressate sofficemente. Dopo la fermentazione il vino trascorre un mesetto in acciaio e un altro mesetto in bottiglia prima della vendita. 

Il colore del “Calanìca” è un bel rosa carico, a metà tra il ramato e il cerasuolo, segno che le uve con cui viene ottenuto non sono parche di pigmenti. Il profumo è intenso e molto invitante, con un esordio nettamente salmastro  (“giurerei che è un vino isolano”, cit.). Su questa manciata di sale escono note precise di fragola, melograno ed arancia sanguinella, leggere note erbacee e cenni di origano.

In bocca la caratteristica principale è una freschezza agrumata, che viene sostenuta dalla prevedibile sapidità e ben equilibrata da una discreta morbidezza. Sorso intenso, fine e persistente, con un ricordo finale di agrume per un vino assolutamente godibile.

 

 

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