Scacciadiavoli – Metodo Classico Brut Rosè

Il problema è il retaggio culturale che ancora oggi resiste: gli spumanti si bevono negli aperitivi, con gli antipasti o con i dolci; quasi nessuno ha l’ardire di metterli a tavola durante un pasto qualsiasi. L’impressione che ancora viaggia spedita è che siano vini solo per momenti preziosi, soprattutto i metodo classico (o metodo champenoise, per chi ha un cestino di escargots al posto del cuore). Probabilmente ciò è dovuto ai nobili natali che questa tipologia di vino può vantare: 1670, il cellario dell’abbazia di Hautvillers corre fuori dal suo ‘posto di lavoro’ esclamando: “presto, venite fratelli! Sto bevendo le stelle!”. Quel frate era Dom Pierre Perignon, il vino lo Champagne e la frase un lasciapassare verso la leggenda. Vedendo la luce in questa maniera, chi avrebbe l’ardire di bere un metodo classico insieme alla pizza? Io. Senza paura. Per tre motivi. Motivi del tutto arbitrari, che sto elaborando or ora:
  1. Il vino va bevuto ed onorato. E il maggior onore per il vino è amministrare la tavola durante tutti i pasti.
  2. La scoperta di Dom Perignon, più che un’intuizione, fu uno spettacolare caso di serendipity: il buon frate cercava di eliminarle quelle bollicine dallo Champagne, perché il vino frizzante non era così in voga all’epoca; oltretutto quelle disgraziate gli facevano esplodere le bottiglie in cantina per l’eccessiva pressione (e i francesi non ringrazieranno mai abbastanza gli inglesi, in particolare re Giacomo I, per le bottiglie champagnotte dal vetro più spesso). Poi lo assaggiò e successe tutto quello che sappiamo, ma fu quasi più un caso fortuito che un’operazione ragionata.
  3. Nel 1570 il medico bresciano Girolamo Conforti pubblica il “Libellus de vino mordaci”. Lì viene elogiato il vino di Franciacorta: in questa microregione sotto il lago d’Iseo trovarono dimora secoli prima abati cluniacensi e cistercensi, affrancati dal pagamento delle tasse (appunto ‘francae curtes’) e dediti, fra le altre attività, alla produzione appunto di vino. Questo vino che, per dirla con le parole di Conforti, era “brioso, spumeggiante, mordacissimo”. Ora rileggete la data: era un secolo prima della scoperta di Dom Perignon. Ci sarà un motivo se ‘marketing’ non è un termine italiano…
Ad ogni modo, eccomi a stappare, gaudente e senza vergogna, il Metodo Classico Brut Rosè di Scacciadiavoli per accompagnare supplì e pizza. E devo dire che si è comportato magnificamente, ma era una facile previsione.



Lo spumante oggetto del nostro disquisire è prodotto in quell’angolo di paradiso che è Montefalco, in località Scacciadiavoli, che è anche il nome della cantina. Località così chiamata in quanto fu la dimora di un vero ‘scacciadiavoli’, un esorcista. Leggenda narra che riuscì ad estirpare il maligno da una donna per mezzo di un bicchiere di vino. Trovatemi voi una storia simile che abbia come protagonista del latte di soia, perché io non ne sono capace. 
L’uvaggio di questa bolla fantastica è 100% Sagrantino. Date le 10 ore appena di macerazione, l’uva cede al vino solo i suoi splendidi profumi e qualche antociano fuggitivo, trattenendo nella buccia la componente tannica. Segue fermentazione, imbottigliamento con liqueur de tirage e sosta sui lieviti per almeno 24 mesi. Infine sboccatura, aggiunta di liqueur d'expédition e lo spumante è pronto. Ecco, a voler fare i pignoli, scostumati e maledetti, il mio unico e minuscolo rammarico è di non vedere riportate in etichetta le date di imbottigliamento e sboccatura. Ma fidatevi che ciò non mi ha causato alcun tipo di problema nello stappare la bottiglia e nel goderne appieno.
Il vino nel calice è di un bellissimo rosa ramato, con perlage fino e persistente. Il naso è di un’eleganza e di una complessità stupende, un corredo olfattivo assai vasto, che si presenta subito con la componente fruttata, lamponi, more e fragoline di bosco, ad accompagnare la classica crosta di pane dei metodo classico, nota quest’ultima molto fine e non sovrastante gli altri profumi. La carrellata continua con note di rosa e glicine, un sentore ferroso ed appena terroso, cenni lievi di nocciola tostata, di cannella e di noce moscata: un profumo veramente magnetico.
In bocca lo spumante è una crema, con ingresso molto morbido nonostante la quota di carbonica, fresco e sapido, con un’elegante e profonda persistenza gusto-olfattiva, persistenza perfettamente corrispondente con i profumi percepiti al naso. Un vino terribilmente invitante. Bisogna sapersi dominare, ché a finirsi la bottiglia è un attimo.

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