Alberto Giacobbe – Cesanese del Piglio Superiore Riserva DOCG “Lepanto” 2016

Regola aurea dell’enogastronomia: con gli abbinamenti regionali difficilmente si sbaglia.
Regola argentea della ristorazione: privilegiare il consumo di vino locale, o quantomeno regionale. Soprattutto in una regione come il Lazio, dove è ancora molto in pasteggiare con etichette griffate, e quindi quasi mai di zona. Facendo miei questi preziosi dettami, affronto la difficile, meravigliosa, terribile sfida della scelta del vino al ristorante, nello specifico da “Sora Maria e Arcangelo” ad Olevano Romano, luogo scelto per il festeggiamento del mio primo anniversario di matrimonio. Non ho titoli sufficienti per tessere le lodi del ristorante, è stato già fatto da tanti altri, molto più bravi di me (ad esempio da Andrea Petrini sul suo blog Percorsi di Vino). Posso solo dire che è stato un pranzo memorabile, che sono rimasto sorpreso dalla bontà dei singoli ingredienti oltre che dal loro assemblaggio a formare i piatti veri e propri. E che, in definitiva, vale certamente la pena prendere la macchina ed andare a mangiare ad Olevano Romano. Già che ci siete andate anche a trovare i viticoltori di zona, poi con comodo mi ringrazierete.



In materia di vino, avendo scelto dal menu i cannelloni e le pappardelle al ragù bianco, cavalli di battaglia del ristorante, voglio ingaggiare per il ruolo di fido scudiero il Cesanese del Piglio Superiore Riserva “Lepanto” 2016 di Alberto Giacobbe. La scelta è ricaduta sul “Lepanto” perché ancora non conoscevo vino né azienda. La curiosità è stata acuita anche dal premio “Vino Slow” assegnatogli dalla guida Slow Wine 2020.



Dalla scheda del vino leggo che il “Lepanto”, dopo fermentazione in acciaio, mi va a sostare per un annetto in barrique e per un ulteriore anno e mezzo in bottiglia. La pazienza è la virtù dei forti e questo bel Cesanese forte lo è. Nel bicchiere è rubino compatto. La catechizzazione ad opera della barrique leviga notevolmente il classico attacco speziato del Cesanese, virando più su profumi di frutta a maturazione, more soprattutto. Poi però tranquilli che le spezie arrivano (e che facevamo un concerto degli U2 senza Bono?): il pepe nero fa da capofila, seguito radice di liquirizia, mirto, ginepro e un lieve sentore vanigliato; percettibili sentori di terragno ed ematico. La bocca risulta corposa ma al contempo agile, moderatamente tannica, elegante e piuttosto persistente. L’uso della barrique non è stato per nulla invasivo, ingentilisce ma non snatura completamente questo straordinario vitigno. Infine notevole è anche il rapporto qualità/prezzo. Insomma, si capisce che ho abbastanza apprezzato questo vino?

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