Produttori del Barbaresco – Barbaresco DOCG 2017

 

Il Barbaresco, uno dei capolavori enologici italiani. Un nome sontuoso, imponente, da condottiero germanico. Tre i comuni in cui è lecito battezzare Barbaresco il vino che vi si produce: Barbaresco, Neive e Treiso, più San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba. Ha un vicino imponente, il Barolo, praticamente il fratello maggiore che spopola tra le donzelle su cui vorrebbe far colpo nostro Barbie; chiariamo però che si tratta di due fratelli categorizzabili come “bòno” e “bòno assai”, praticamente Liam e Chris Hemsworth: comunque si caschi, si casca gran bene. Terreno di origine Tortoniana, marne di Sant’Agata e parecchia arenaria a rendere il Barbaresco tendenzialmente più ‘facile’ e ‘di pronta beva’ rispetto al Barolo; ma tarate il tutto sulle caratteristiche dell’uva nebbiolo, che di facile non ha mai avuto nulla nella storia.

Per il Barbaresco dobbiamo giungere le mani e fare un inchino al cospetto di un uomo: tal Domizio Cavazza. Questo signore, dalla magnetica allitterazione anagrafica, era certo che in quel territorio potesse venire su un vino paragonabile al già blasonato Barolo (l’avete già pensata “il re dei vini, il vino dei re”?). 

L’uomo non era un langhetto DOC bensì un autoctono modenese, che decise di dedicare la sua vita al vino (mentre io ho scelto chimica… poche volte tutto è chiaro dall’inizio). Dopo gli studi in Francia portò i suoi talenti ad Alba e nel 1881 fondò la Regia Scuola Enologica. A 26 anni; e no, non mi presterò al giochetto “cosa facevi tu a 26 anni?”, voglio conservare una briciola di autostima. 

Dopo dieci anni affidò la Scuola Enologica di Alba ad altre mani, lasciando la teoria per la pratica. Nel 1894 due eventi: il Cavazza acquistò il castello di Barbaresco, con l’obiettivo di mettere le ampie cantine a disposizione della Cantina Sociale di Barbaresco, fondata proprio nel 1894: il secondo evento. 

Successe che i produttori del Barolo si opposero all’’allargamento dei confini’ fino ad est di Alba, la zona attuale del Barbaresco. Immagino che qualche barolista, alle recriminazioni, se ne sia uscito con “se a Barbaresco vogliono fare del vino, fondino una cantina sociale, vinifichino le uve e vediamo quante bottiglie vendono”. Allora il nostro Domizio riunì nove soci viticoltori, con l’obiettivo di produrre vini “di lusso e da pasto” a base di uva nebbiolo locale. Il Barbaresco nasceva ufficialmente e già da subito veniva considerato come vino “di lusso”, da non ritenere secondo al Barolo (in seguito un certo Gaja amplierà il concetto).

Purtroppo tutto ciò che nasce alla fine muore (e daje a ride…): nel 1913 Domizio Cavazza lascia l’esistenza terrena; nel 1920 tocca invece alla Cantina Sociale chiudere i battenti. Ma il seme era ormai piantato e non poteva essere più estirpato: dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale l’eredità della Cantina Sociale venne ufficialmente raccolta dalla cooperativa Produttori del Barbaresco.

Nata nel 1958 per volontà di Don Fiorino Marengo, che non era un boss di una delle cinque famiglie newyorkesi, ma il parroco di Barbaresco. Don Fiorino radunò 19 viticoltori e fondò la cooperativa “per la qualifica e garanzia del Barbaresco”. Giunta ai giorni nostri, la cooperativa oggi conta su 50 soci per 110 ettari vitati a nebbiolo e circa 500000 bottiglie annue.

 


Passiamo dal generale al particulare, esaminando il Barbaresco 2017 che, guarda caso, è finito nel mio calice. E nel calice il colore è uno scintillante rosso rubino, con una minima concessione al granato appena sul bordo del liquido.

Naso d'impatto, prevalentemente terroso e speziato, su toni cupi, la frutta esce solo dopo qualche momento. Sottobosco, ruggine, chiodo di garofano e noce moscata dettano i tempi. Seguono prugne mature, amarene sotto spirito e mirtilli, violetta, sigaro e cuoio. E se già ora il profumo è di tutto rispetto, immagino cosa possa essere dopo alcuni anni di paziente e fedele attesa.

Bocca leggiadra e di carattere, che non fa mancare la dose di freschezza e tannino auspicata. Dopo le sensazioni iniziali emerge grande ricchezza di sapore, che resiste piacevolmente in bocca per molti secondi. Magari facessero tutte dei vini così le cooperative vinicole…

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