Franz Haas – Vigneti delle Dolomiti Pinot Nero Rosé IGT 2018

 

Io, generalmente, i consigli degli altri li ascolto con riserva. La maggior parte delle volte è perché chi ti dà un consiglio lo fa distrattamente. Ti dice la prima cosa che gli passa in testa in quel momento, poi adiòs, affari tuoi. Però ci sono persone di cui mi fido, e i loro consigli li accolgo senza domandare i documenti.

Una di queste è la mia docente, Sara Tosti. Le chiedo: “Sara, avrei voglia di rosati”. Lei: “Say no more”. Vado da Marco Bonelli, gentilissimo titolare della Vineria Bonelli (via delle Cave, Roma; passateci, vale la sosta), e le bottiglie sono lì. Fiducioso pago, prendo e porto a casa. Ed eccoci a tu per tu con il Rosè di Franz Haas.

Franz Haas è una delle aziende a tenuta familiare storiche dell’Alto Adige. I 55 ettari aziendali sono dislocati in mezzo alle dolomiti, tra i 250 e i 1150 metri d’altezza. A noi interessano gli ettari dove si coltiva il pinot nero adibito alla rosificazione (roba mia, lasciate fare), che guardano la vallata dall’alto di 750 metri d’altezza. I terreni delle dolomiti sono di origine erosiva: sabbia di porfidi, calcare, un po’ di argilla dove capita. Le uve vengono raccolte, pressate e il mosto fermenta in acciaio. Dato che in acciaio ci si trova bene, il vino ci passa altri 6 mesi, a contatto con i lieviti e svolgendo pure la malolattica, tiè! Poi imbottigliamento, chiusura con tappo a vite (un encomio a Franz Haas) e via per il globo terracqueo.

 


La vulgata popolare vuole i rosati come vini immediati, dell’ultima vendemmia, massimo della penultima. Questo Rosè ha invece ben tre anni sul groppone. Secondo molti sarebbe incanutito, buono giusto per sfumarci l’arista al tegame. E però è strano: se al corrispettivo Pinot Nero vinificato in rosso pronosticate decenni di vita, perché non concedere almeno un lustro al Rosé?

Nel calice si nota il passaggio degli anni, perché da un iniziale rosa cerasuolo si migra all’attuale colore ramato, un ramato brillante.

Pure il naso resta sulle sue per i primi minuti, con lievi sentori fungini e gommosi. Poi il vino respira e salgono i veri profumi del vino, che si districano tra la pietra calcarea e frutti di bosco maturi (fragoline e lamponi), il pepe rosa, il timo e la mandorla tostata, con uno sfumato sottofondo di cerino spento (l’accezione ‘sfumato’ calza a pennello).

La bocca è ancora fresca ma il sorso è dominato dalla sapidità, sensazione che fa da scorta fino alla fine. E la fine arriva dopo molti secondi, portando con sé una residua morbidezza al palato e in chiusura una sensazione ammandorlata ed amaricante. Un rosato che reclama attenzione, che si impone al palato, che ha anche una discreta capacità di invecchiamento. Non li sottovalutate mai, i vini e, soprattutto, i vini rosati.

 

 

 

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