Salvatore Martusciello – Asprinio d’Aversa DOC Metodo Martinotti Brut “Trentapioli” 2019

 

L’Asprinio non è ancora patrimonio dell’umanità UNESCO ed io non me ne capacito. Seriamente, non me ne riesco a fare una ragione. Per quale motivo? Due parole: alberata aversana, che volendo si può leggere anche ‘alberata etrusca’.

Ci troviamo di fronte ad uno dei più antichi ‘addomesticamenti’ di questa liana foriera di biglie zuccherose. Sì, bravi quanto vi pare i greci, ma oltre il potare la pianta a quota Umpa Lumpa non sono andati. Gli etruschi invece, brava gente pratica ed assetata, hanno introdotto il concetto di matrimonio combinato, molto prima degli indiani. Ed ecco che, avendo a disposizione olmi e pioppi, architettarono di piantare la vite tra un albero e l’altro, maritando arbusto e arbusto.

‘Architettarono’ è il verbo perfetto: gli etruschi, come oggi i campani dell’Agro Aversano, fanno salire la vite su, su, su per la chioma dell’albero. Vite che raggiunge così anche i 15 metri d’altezza. Ok, ma come ci si arriva lì su? Con gli scalilli, scale costruite appositamente per inerpicarsi su questi palazzi di 5 piani; scale strette ed alte, che si appoggiano ai filari di asprinio e si va su a potare e a vendemmiare come se si fosse sull’Empire State Building, solo che a terra non c’è Manhattan ma l’Agro Aversano (molto meglio, dico io).


Fonte: rivistadiagraria.org

Ora, capite bene che se prendete una pianta e la fate sviluppare per decine di metri in altezza, anche se aveste un grappolo ogni metro avreste comunque un bel gruzzolo di grappoli. L’uva dunque deve essere collaborativa, non può essere un’uva qualunque. L’asprinio collabora. Quest’uva è un concentrato di acidità tale che può sedersi al tavolo con i cugini più blasonati (riesling, chenin blanc, Müller Thurgau). Attenzione, il vino Asprinio non è mica solo una limonata, per piacere: è un vino complesso il giusto, magari elegante il giusto, sicuramente un grande alleato a tavola. Perfino un buongustaio come Mario Soldati, nel suo Vino al Vino, si prodigò in grandi lodi per questo onesto bianco vinificato da frizzante a spumante. Certo, lo chiamava ‘asprino’, ma una licenza glie la si può concedere. Molto meno gli concedo il chiamare il pranzo ‘colazione’, roba da mandarmi al confino due etti di calma ogni volta che lo leggevo; e siccome Mario nostro ci andava di forchetta ad ogni allacciata di scarpa, praticamente ho letto Vino al Vino in preda all’ira. Ma questo è un mio problema (pure grosso, a rileggere l’ultimo paio di periodi… coraggio, avanzare, avanzare).



Lo spumante brut a base asprinio metodo Martinotti (e che Charmat vada a farsi… benedire) “Trentapioli” viene prodotto da Gilda e Salvatore Martusciello. Il nome è un omaggio ai pioli degli scalilli usati per andare a recuperare la materia prima del vino tra un pioppo e l’altro. Dopo la vendemmia si operano fermentazione e maturazione per 50 giorni in autoclave sui propri lieviti.

Il vino ha una colorazione praticamente bianco carta, con un rispettabilissimo perlage che prende vita nel calice.

Il profumo di questo Asprinio parla di uva spina, di lime, pompelmo, di pesche e nespole, di gelsomino, di timo. L’atmosfera è costantemente punzecchiata da un sentore polveroso, che collocherei tra le note minerali e che, stazionando il vino nel bicchiere, muta ricordando il profumo delle conchiglie. Facendo paragoni impropri (usando anche termini orrendi) ma mediamente calzanti, direi che questo Asprinio ha un naso che ‘Chenineggia’.

La bocca è secchissima. Secchissima proprio. Volete trovare una traccia di quei “fino a 15 g/l” di zucchero possibilmente presenti in uno spumante brut? Lasciate stare, il vino è secco come un ciocco. In grande spolvero anche la freschezza, prevedibile; sapidità contenuta, una bella cremosità al palato, sapore mediamente intenso ma con una persistenza notevole, che sfuma su chiare note di limone e pompelmo.

Un abbinamento su due piedi? Facilissimo: mozzarellona di bufala e pane di Benevento. I perfezionisti obietteranno che si rischia di scodare in succulenza, voi non invitateli a pranzo e il gioco è fatto.


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