Hyperdecanting… ma perché?

Era partita come una domenica sera qualunque: 19:30 circa e voglia di muovere un muscolo pari a zero. Siedo sul divano guardando L’Eredità (ma beati voi che avete voglia di una vita sociale più attiva; io sono un ometto semplice, punto al risparmio dei battiti cardiaci e la sera mi guardo L’Eredità). Arriva la domanda “a quale azione ricorre chi fa decantare il vino con il metodo dell’”hyperdecanting”?’ e il buon Flavio Insinna snocciola le 4 opzioni:

Lo passa attraverso garze

Lo frulla con un frullatore

Lo riscalda con aria calda

Lo travasa minimo tre volte

Ok, domanda sul vino, non so la risposta ma proviamo a ragionarci: la prima è una semplice filtrazione, quindi no; la terza è oscenamente impossibile; la quarta potrebbe essere plausibile, mentre la seconda, penso, è roba da malati di mente. 

Vi risparmio righe di suspense: la risposta esatta era la seconda.


Al disvelamento della risposta corretta m’è partito dalla punta dei polmoni un sonoro “MA CHE SO’ SCEMI?!”. Mia figlia, due anni, mi ha guardato come uno storico dell’arte guarderebbe uno che, di fronte alla Crocifissione di san Pietro del Caravaggio, bofonchiasse “caruccio questo quadro”. Povera bimba, lei non può capire.

Anni di nozioni tramandate solennemente dai più saggi ai discenti, in cui l’ammonimento era “il vino è materia viva, e va sì rispettato: urge adunque evitare qualsivoglia molestia tellurica al prezioso liquido, sia nei trasporti che nella conservazione”. Anni ad apprendere come il decanter non facesse proprio bene al vino, che un’ossigenazione troppo violenta sfibra i vini più invecchiati, che la cantina non deve confinare con i binari della Metro A altrimenti il vino si stressa, che niente di meno per gli scaffali deve essere usato il legno, poiché assorbe meglio le vibrazioni al contrario di plastica, ferro e mattoname vario. E ora ce ne usciamo con il frappé di Cabernet? 

Una foto del sottoscritto al momento della risposta

Il tradizionalista annidato in me è ovviamente disgustato da cotanto affronto alla bevanda eletta. Ma ho pur sempre una formazione scientifica; inoltre devo ammetterlo, anche se con un brivido: dopo il ribrezzo iniziale mi sono chiesto “e se fosse vero? E se il vino davvero ne uscisse migliorato?”.

Prima di tutto un minimo di ricerca: chi l’ha messa in giro ‘sta roba? Gli anglosassoni, e come ti sbagli. La pratica sarebbe stata codificata negli anni 2000 da Nathan Myhrvold, un seattleite precedentemente CTO presso Microsoft ed oggi cuoco e co-autore di Modernist Cuisine, un’enciclopedia della cucina del 3000 [link informativo]. E mi sembra pacifico che uno con le lettere del cognome passate per un frullatore volesse riservare stessa sorte al vino.

La teoria alla base della pratica è piuttosto immediata: il vino con l’aria migliora, vero? Si apre, i tannini smussano le loro asperità, diventa più facile da bere; perché mai dovremmo aspettare dei lunghi minuti in attesa dei capricci della natura, quando con 30 secondi di frullatore, aumentando esponenzialmente il contatto tra vino ed aria, otteniamo un risultato perfino migliore (dicono loro)? Il trattamento speciale migliorerebbe il gusto dei cheap wines, mentre non viene caldeggiato per vini di un certo livello. Sfido: trovatemi voi uno che maltratti in questo modo uno Château Haut-Brion e vada in giro a vantarsene; come guidare una Ferrari sullo sterrato: certo che puoi farlo, ma perché mai dovresti volerlo?


Il fatto che la tecnica provenga dalla cultura anglofona dà ancora una volta la misura di come noi, vecchio mondo, consideriamo il vino sacro ed intoccabile; per loro è solo una bevanda, dunque che male c’è a sperimentare? Io trovo che non abbiano affatto torto. Certo, frullare un Syrah resta sempre un crimine per me, ma comprendo la loro visione: nessuna innovazione è nata restando fermi. Questo sempre se ci si ricorda che sperimentando si possono anche prendere delle sontuose quaglie, o peggio: Franz Reichelt, che nel 1912 volle sperimentare il suo giaccone-paracadute lanciandosi dalla Tour Eiffel, ottenne solo una ripresa della sua morte e l’imperituro titolo di ”scemo”. Poveraccio.

In conclusione, poiché prima di dire che una cosa non ci piace dobbiamo quantomeno assaggiarla, sacrificherò qualche cl di vino per la causa, frullandolo malamente e cercando di capire cosa accade, in positivo e in negativo. Attendete fiduciosi.

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