Hyperdecanting: ma insomma, sì o no?

Il mondo si divide fra gli strenui oppositori alle innovazioni proposte (di solito il loro rifiuto è motivato con ragionamenti degni di un esemplare di yak), gli innovatori entusiasti, a prescindere dalla reale efficacia della novità, e gli scettici incuriositi. Pur essendo affine agli yak, mi reputo parte di quest’ultima schiera. E, come anticipato, non mi accontento di giudicare ridicola la pratica dell’hyperdecanting avendoci solo ragionato sopra: ho bisogno di sperimentarla. Poi dopo riprenderò ad insultarla, ma supportato dall’esperienza.

Il progetto prevede di versare lo stesso vino in un calice, in un decanter e, ahilui, nel frullatore, dare loro 10 minuti per fare amicizia con il contenitore e l’aria sovrastante, testare quindi i tre campioni e operare un confronto. Come vittima sacrificale ho scelto un Aglianico Sannio DOP 2019 de La Guardiense, 4,59 € al Carrefour. D’altronde è stato detto che questo metodo rende più classy i cheap wines, no? Che ne sai, magari ti diventa un Taurasi.

Il primo vino esaminato è quello versato direttamente nel calice: il colore è rosso rubino scuro e, come era ipotizzabile, tale nuance è comune a tutti e tre i campioni. I profumi principali sono di amarena, ribes, chiodo di garofano, terra e polvere di caffè. In bocca il vino è aguzzo, con freschezza in auge, tannino scarso, media persistenza e caratteristico amarore finale. Ormai ci sto e, sfociando nel soggettivo, proclamo solennemente che sì, il vino in sé non è spiacevole, ma che vorrete senz’altro spendere una manciata di euro in più per dirigervi verso vini di maggior spessore.

Ok, abbiamo lo standard di riferimento. È tempo di vagliare i caratteri del secondo campione: il quantitativo di un calice versato nel decanter.
Già che ci siamo, ripetiamo un concetto mai troppo ribadito: il decanter non è l’ideale per ossigenare il vino. Decantare è un’operazione che permette la separazione del vino dai propri sedimenti. Questi ultimi, se uno è bravo, restano tutti nella bottiglia, mentre il vino va a finire in un contenitore, che può essere il decanter come una caraffa qualsiasi. Inoltre, ossigenare troppo violentemente un vino anzianotto è deleterio per il suo delicato equilibrio. È come se voi dormiste per 10 anni e vi svegliasse un tizio con una vuvuzela: non auspicabile. Per ossigenare il vino è perfetto il calice.
Ultimato il sermone, procediamo con l’anamnesi: il profumo si fa più gentile, più ‘chiaro’, con qualche cenno di rosa che emerge dalla solita amarena, e con speziatura e sentori terrosi più soffusi. La bocca risulta meno aguzza rispetto al gemello in vetro minore, sebbene sempre molto fresca, identico l’effetto del tannino e accentuata la sensazione di amaro.
Don’t try this at home (or anywhere else)


E veniamo allo strazio del vino frullato. L’idea alla base di chi ha ideato la tecnica, ripetiamolo, è di ammorbidire le asperità del vino, operando un contatto repentino e potenziato con l’ossigeno. Andrebbe detto che, d’accordo la levigatura tannica, ma quest’ossigenoterapia sotto tornado avrebbe almeno due effetti collaterali facilmente prevedibili: uno è la perdita aromatica, dato che massimizziamo con violenza la superficie di contatto tra aria e vino, e ciao ciao ai profumi più delicati; l’altro è l’innalzamento della temperatura del vino, perché se frulliamo una cosa questa aumenta di temperatura (e questo esalta l’effetto collaterale numero uno. Una pratica a prova di bomba s’è inventato l’informatico cuciniere, eh?).
Dunque, dopo venti secondi di sevizie ho stoppato il frullatore, chiesto perdono a varie divinità vigenti e versato il vino nel calice per l’esame. Il profumo ricorda un frullato alcolico di fragole e gerani. Stop. Volendo proprio fare i lagotti, sullo sfondo si percepisce qualche cenno speziato, ma proprio volendo scandagliare con ostinazione. Il sorso di questo vino è liscio, piatto, inconsistente. La freschezza risulta appena percepibile, ma già dopo che il vino ha preso la galleria sud, con l’amarore sempre pimpante. E, sorpresa delle sorprese, il tannino è perfettamente sovrapponibile agli altri due campioni. Cioè, “frullate i vini così sono più morbidi” e poi mi rimane proprio la componente da moderare?! Ma dai! Ma vergogna!

La conclusione dell’esperienza vede come vincitore il calice: il decanter ha reso forse più accattivante il vino al naso, ma solo superficialmente. A lungo andare la maggiore soddisfazione la regala il calice, con variazioni a livello olfattivo che avvengono con la giusta lentezza e con il gusto che evolve a poco a poco.
E l’hyperdecanting? Fareste meno danni a bere il vino con i cubetti di ghiaccio. La scienza ha parlato.

Nessun commento:

Posta un commento