Frescobaldi, Castello Pomino – Pomino Bianco DOC 2020

 

C’è un parametro della scheda degustativa della FIS che non ho mai del tutto digerito: la tipicità del vino, la quale si può definire esemplare allorquando il vino è, cito, un “perfetto esempio di unicità e tipicità che riesce a fondere i caratteri del vitigno con la massima espressione del terroir”. Ho una formazione scientifica, mi riesce molto difficile socializzare con parametri poco empirici, ma se è su una scheda di degustazione ufficiale di un’associazione nemmeno poco importante, un suo senso lo avrà.

Eppure il Pomino Bianco DOC di Frescobaldi è un bel bug per tale parametro. Dunque, carte in tavola: l’uvaggio è in prevalenza chardonnay e pinot bianco, più un saldo di uve di zona, probabilmente trebbiano. Se non lo sapeste, siamo in Toscana, Pomino è una frazione del comune di Rufina. Beh, con questi dati possiamo già azzardare un giudizio: vino poco tipico. 

Giusto?

Mmm…

Potreste affermare “Be’, diamine, da quando in qua chardonnay e pinot bianco sono tipiche della Toscana?”. Difatti nulla da eccepire, tranne che in quella minuta frazioncina dove lo chardonnay e il pinot bianco stendono i panni da quando lì era ancora Granducato di Toscana.

Era il 1855, l’Italia era ancora un bel sogno risorgimentale e Camillo Benso Conte di Cavour, forte dell’alleanza con la Francia, cercava disperatamente di provocare gli austriaci anche a sputi e pernacchie pur di farsi dichiarare guerra. Proprio in quello stesso anno i Frescobaldi piantavano barbatelle di chardonnay, pinot bianco, pinot nero, cabernet sauvignon e merlot nella tenuta di Castello Pomino. 1855. 

Lo vedete anche voi il parametro della tipicità che qui mi si va a fare un giro in monopattino cantando “Favorite Things” degli Incubus? Ah, se proprio non vogliamo farci mancare nulla, il Pomino Bianco è stato anche il primo bianco italiano a fermentare ed affinare in barrique. 

 


Oggetto di questo post è la versione ‘base’ del Pomino Bianco, costituito come già accennato da chardonnay, pinot bianco e un saldo minoritario di altre uve tipiche bianche toscane. La fermentazione avviene in acciaio, salvo una piccola parte in barrique. La maturazione la svolge in bottiglia, entro pochi mesi è già fuori dalla cantina. Qualche altra settimana e finisce nel calice di questo energumeno.

Il colore è un giallo paglierino scarico. Al naso detta legge la frutta tropicale (mango, ananas) e una sventagliata di fiori. Completano il corteo lime, un leggero sentore di erba appena tagliata e cenni di salvia.

In bocca è leggero, scorrevole, di buona freschezza e sapidità con un accenno di morbidezza al palato. Persistenza dignitosissima e fin di bocca che oscilla tra sapidità e sensazioni di agrumi.

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