Ca’ dei Frati – Riviera del Garda Classico DOC “Rosa dei Frati” 2019

 

Tutti abbiamo visto almeno una bottiglia di Ca’ dei Frati in ogni enoteca. Che fosse uno dei Lugana o proprio questo “Rosa dei Frati”, a chiunque sarà cascato l’occhio almeno una volta su quelle bottiglie di vetro chiaro, tutte arzigogolate, con lo stemma in rilievo e piuttosto pesantucce.

Lo confesso: io le guardavo con diffidenza. A volte se la bottiglia non ti aggrada, finisci per cassare anche il contenuto. Loro, le bottiglie, mi guardavano indifferenti; io, la persona consumatore che si fregia del foglio Fabriano F4 dove qualcuno ha stampato il suo nome accanto alla parola ‘sommelier’, le guardavo come un inglese guarda un indiano che parla la sua lingua (avete mai sentito un indiano parlare inglese? Ve lo raccomando. Poi mi dite).

In questi casi è necessario l’ingresso in scena dell’aiutante per sbloccare lo stallo. Nel ruolo di Oda Mae Brown (se vi domandate “e chi è” avete scarsissima cultura in materia di film romantici) ecco di nuovo Sara Tosti. Il consiglio proviene da una fonte più che affidabile, prendiamo questo Rosa dei Frati.

 


Mix di uve groppello (per la maggior parte), marzemino, sangiovese e barbera, le quali bucce hanno riposato una notte a bagno nel loro mosto, il Rosa dei Frati passa sei mesi di affinamento post-fermentativo in acciaio in compagnia delle fecce fini prima di venire imbottigliato e cacciato di ca’. La zona, sulle sponde del lago di Garda, è storicamente vocata per i vini rosati (più in auge sulla sponda veronese che non su questa bresciana; ma anche qui si fanno valere alla grande). 

Nonostante la bottiglia di vetro incolore non aiuti chi vorrebbe far invecchiare in cantina dei rosati, magari per testarne la longevità (che poi è un problema comune a tutti i rosati del mondo; io capisco far leva sul consumatore tramite il colore del vino, ma se prende mezza giornata di sole quel vino diventa un Madeira), dicevo, nonostante il vetro incolore il Rosa dei Frati non è stato per nulla intaccato dall’annetto in più sulle spalle. Il suo colore è evoluto verso un rosa buccia di cipolla, segno che ha assorbito il tempo trascorso non rimanendone segnato.

Il naso è un compendio di aromi tropicali: mango, ananas, una quintalata di passion fruit, pompelmo e kumquat. Oltre a questo buffet di frutta si notano profumi di rosa gialla, una leggera sensazione di mineralità calcarea, speziatura leggera di cannella, erba cedrina e bacca di ginepro. Time out: leggendo la scheda tecnica del vino prendo atto delle note olfattive dominanti, che risultano essere: biancospino, mela verde, mandorla bianca, ciliegia selvatica. Particolare come i profumi da me percepiti siano su un tutt’altro binario rispetto a quelli riportati dall’azienda. Non so, avrà inciso l’anno in più sul groppello (battuta scandalosa, me ne scuso)? Oh beh, se Ca’ dei Frati volesse invitarmi per una verticale di Rosa dei Frati, per chiarire definitivamente questa questione, mi rendo eleggibile. 

In bocca invece concordo con quanto espresso dalla scheda tecnica: il vino è succoso, agile e ancora guizzante (dedicato a chi bolla i rosati come vini con scadenza a 12 mesi). La caratteristica predominante è di sicuro la freschezza, che invoglia costantemente a bere un sorso dopo l’altro (cauti, per l’amor del cielo!). Il sorso ha buona intensità gustativa e persistenza nella media, con un fin di bocca che ondeggia tra frutta esotica ed agrumi. La morte di questo vino? Cruditè di pesce e frutta esotica. L’ambientazione mettetecela voi, io sto già soffrendo così. E buona Festa della Repubblica a tutti voi.

 

 

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