La degustazione di Parigi del 1976 (prima parte)

 I momenti spartiacque della storia esistono, momenti che tracciano un segno distintivo, un ‘prima’ e un ‘dopo’. Che sia un avvenimento pianificato o pura serendipità, il risultato è comunque un mutamento degli equilibri precedenti. Di esempi nella storia ce ne sono migliaia: la scoperta della penicillina di Alexander Fleming, lo sbarco in Normandia o, più in piccolo, il passaggio di Babe Ruth ai New York Yankees.

Nel mondo del vino i momenti spartiacque ci sono, anche se meno roboanti o epici. Eppure ogni tanto qualche bella storia scappa fuori. E una bella storia vale sempre la pena di essere raccontata.

Fonte: Wikipedia

Lunedì 24 maggio 1976, Parigi. Primo pomeriggio. Undici persone stanno entrando all’Intercontinental Hotel, zona Opera. Sono ben vestite e ben pettinate, sanno che dovranno assaggiare e giudicare venti vini, californiani e francesi e, cosa fondamentale, alla cieca. Qualche ora dopo, quando usciranno dall’hotel, il mondo del vino non sarà più lo stesso. 

Tra le undici persone figurano Steven Spurrier, britannico, all’epoca enotecario a Parigi e proprietario dell’unica scuola privata in materia di vino in Francia, l’Academie du Vin, e la sua collega, il personaggio fondamentale per questa storia: Patricia Gastaud-Gallagher, americana del Delaware. 

Fonte: americanhistory.si.edu

Con il passare del tempo questa storia è diventata straordinaria, ma le premesse erano tutt’altro che le fondamenta di una leggenda. La volete breve breve? Spurrier e la Gallagher avevano sentito parlare di alcuni ottimi vini americani ma, essendo la viticoltura americana degli anni ’70 ancora in fase embrionale (300 aziende scarse, contro le oltre 3000 attuali), non esistevano importatori di tali vini. I pochi che arrivavano a Parigi erano di livello discutibile. La voce che nella Napa Valley accadessero cose meravigliose era però un tarlo continuo nella testa di quei due. 

Così successe che nel 1975 la Gallagher volò verso San Diego per andare a trovare sua sorella e, già che c’era, fece un bel giretto per le cantine della Napa Valley. Tornata a Parigi, rese edotto della faccenda Spurrier: “Steven, in California ci sono aziende che, Zinfandel a parte, fanno davvero degli ottimi vini, non quella robaccia che arriva qui a Parigi. Sai che potremmo fare? Organizzare per l’anno prossimo una degustazione di questi ignoti vini americani per celebrare il bicentenario dell’indipendenza degli USA. Che ne dici?”. Steven: “Dico che voi americani ci state in fissa con ‘ste celebrazioni… Però l’idea mi piace, appena posso ci faccio un salto da quelle parti”. “Ma sì Steven, tanto andando da Parigi a Londra sta di strada”.

Napa Valley, Stag’s Leap District
(Fonte: touringandtasting.com)

In realtà nell’aprile 1976 Spurrier andò davvero per cantine nella Napa Valley, e davvero trovò che quei vini erano non solo buoni, erano di alto livello. Fu a quel punto che si concretizzò l’idea della degustazione celebrativa. Sei cantine selezionate per i vini bianchi da Chardonnay e sei cantine per i vini rossi da Cabernet Sauvignon, tutte californiane. L’idea di Spurrier e Gallagher era far assaggiare alla cieca i vini di queste dodici cantine sconosciute a nove personalità di spicco dell’enologia francese. Ve li metto in lista:

Pierre Brejoux, ispettore generale dell’Institute National de l’Origine et de la Qualité

Claude Dubois-Millot, del ristorante Gault-Millau

Michel Dovaz, dell’Institut du Vin

Odette Kahn, editrice de La Revue du vin de France

Raymond Oliver, chef e proprietario del ristorante Le Grand Véfour

Pierre Tari, proprietario dello Chateau Giscours

Christian Vanneque, sommelier del ristorante La Tour D'Argent

Aubert de Villaine, proprietario del Domaine de la Romanée-Conti

Jean-Claude Vrinat, proprietario del  ristorante Taillevent 

Photo by Bella Spurrier

Un discreto parterre de roi per una degustazione in onore della rivoluzione americana con vini americani. Me li immagino i giudici quel giorno di maggio del 1976: rilassati, forse annoiati, se vi dice bene incuriositi da questi vini che “sì dicono essere buoni, ma comunque non al livello della nostra viticoltura, l’unica, straordinaria, normalissima, vicina e irraggiungibile, inafferrabile, incomprensibile (cit.)”. Sfortunatamente i poveretti erano ignari che un paio di settimane prima il diavolo si era impossessato di Steven Spurrier, facendogli compiere due azioni che avrebbero mutato il corso della storia. 


La prima azione: dato che questi vini sono di livello, perché non mettere nel calderone anche quattro vini francesi per tipologia, magari di quelli costosi, magari Premier e Grand Cru? Quattro bianchi di Borgogna e quattro rossi di Bordeaux? Così, per un divertente confronto tra esperti, per confrontarne la qualità rispetto ai vini ritenuti i migliori sul mercato.

La seconda: perché non chiamare anche qualche giornalista per dare visibilità a questo confronto enologico tra vecchio e nuovo mondo?


Lo vedete anche voi il distacco del mucchio di neve? L’embrione della slavina? Un pacifico assaggio di vini californiani sta prendendo i connotati di una sfida tra vini americani e francesi. I punteggi che sarebbero stati assegnati (da 1 a 20 per ogni vino, senza un criterio uniforme, a giudizio del singolo degustatore) avrebbero ora dato vita ad una classifica. La classifica avrebbe decretato un vincitore per ogni categoria, bianchi e rossi. E se vincesse un vino americano? E se vincessero gli americani in entrambe le categorie?

L’ancien régime però poteva ancora dirsi salvo: tutti i giornalisti avevano educatamente declinato l’invito di Spurrier e l’evento era privo di copertura mediatica. Solo un pomeriggio tra esperti di vino, nulla più, le classifiche sarebbero rimaste cosa ignota. Se non che George Taber del Time pensò che un lunedì pomeriggio non avrebbe avuto comunque nulla di meglio da fare, e si presentò quindi con la sua brava matita e il suo bel taccuino all’Intercontinental Hotel, per riportare quanta distanza ancora avessero da colmare gli americani nel vino. Perché era fuori discussione che i francesi avrebbero primeggiato.

[Fine prima parte]

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