Bolla – Valpolicella Classico DOC 2019

Dovete essere onesti, ma onesti davvero: quanti Amarone della Valpolicella avete bevuto? Suppongo svariati. Bene. E quanti Valpolicella? Quanti semplici, minuscoli, umili Valpolicella Classico? Se facessi un sondaggio, sono sicuro che i risultati sarebbero impietosi. Io stesso, a fronte di vari Amarone, non mi ero mai avvicinato ad un Valpolicella Classico. Inutile girarci attorno: ad oggi risulta meno fascinoso, meno magnetico rispetto al fratello più ciccio. 

Però, se proprio vogliamo polemizzare ferocemente (e quando ne ho voglia io sono un fuoriclasse), allora possiamo dire che il rispetto se lo meriterebbe quasi solo il Valpolicella Classico rispetto ai suoi più blanditi fratelli. Come mai? È presto detto: se la memoria non m’inganna, il vino si fa con l’uva matura; ecco, quel vino è il nostro Valpolicella Classico. Poi, capita che parti del grappolo siano più mature di altre, quasi appassite, le ‘recie’ (orecchie). Queste parti qui venivano recise, lasciate appassire per bene e utilizzate per farne un vino dolce: il Recioto della Valpolicella. Un giorno un veneto annebbiato (dall’alcol o dalla passione amorosa non è acclarato, ma è il bello della leggenda) non controllò la fermentazione del Recioto, facendolo ‘scappare’. Il risultato fu un vino secco ma dalla consistenza di un passito: l’Amarone della Valpolicella. Ah già, i veronesi decisero un giorno di dar maggior carattere al Valpolicella, fiondando dentro ai tini le vinacce dell’amarone e lasciandole qualche giorno a fare amicizia con il vino appena fermentato: il Valpolicella Ripasso.

Dunque, con estrema e crudele sintesi abbiamo il vino vero e proprio (Valpolicella), un vino dolce fatto con parti non adatte per la vinificazione in secco (Recioto), un errore di cantina (Amarone) e un vino che, come direbbe il sergente maggiore Hartman, “l’hanno fatto con lo scarto!” (Valpolicella Ripasso). Adesso ditemelo voi qual è il vino più rispettabile tra questi quattro (Diamine, avrei dovuto fare l’avvocato).

 



Sicché, eccomi al primo confronto con un Valpolicella Classico, nello specifico di Bolla, celebre azienda della Valpolicella. Le uve sono la classica Corvina con una quota di Rondinella, vinificazione in acciaio con breve affinamento prima della messa in commercio. 

Nel calice questo vino si mostra di un rosso rubino brillante e trasparente. Al naso esprime prima di tutto aromi di frutta rossa appena matura, ciliegie soprattutto e fragole, accompagnate dalla caratteristica tipica dell’uva Corvina, ossia un pungente aroma di pepe nero (piccola pillola chimica del Catcher: la molecola responsabile dell’odore di pepe nero è il rotundone, un sesquiterpene biciclico che è pare del corredo aromatico di alcuni vitigni, come Syrah, Schioppettino e, appunto, Corvina). Altre note ravvisabili sono una punta di cannella, scorza d’arancia, lieve rosa e lieve incenso.

In bocca il vino scorre indisturbato, si fa notare bene la freschezza, caratteristica principale della degustazione, sostenuta da giusta sapidità, con un leggero amaricante iniziale che sfuma in pochi istanti. Tannino scarsamente percepibile, così come la morbidezza al palato non è granchè rilevabile. Intensità di sapore e persistenza sono nella media, con un finale di bocca perlopiù speziato. 

Detto molto sinceramente, ho trovato questo vino assai piacevole e bevibile, con un bel rapporto qualità/prezzo. Al contempo, tuttavia, mi è mancato un po’ di carattere, che so essere quanto di più non oggettivabile fra le caratteristiche di un vino. Diciamo, mi è mancato quel quid in più, qualcosa che mi facesse soffermare qualche secondo di più (solo qualche secondo, niente roba da riflessioni parmenidee) sul vino appena bevuto.

Ed è con questa analisi puntuale, scientifica e razionale che vado a congedarmi.

 

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