Marco Ludovico – Puglia IGP Primitivo 2017

Per questo e per i prossimi due vini devo in qualche modo ringraziare il sor Zuckerberg. Tutto nasce da un messaggio, dove il buon Marco Ludovico si presenta e mi invita ad andare a trovarlo a Piacenza per il mercato dei vini FIVI. Era novembre 2019. Io noto questo messaggio l’1 gennaio 2020. Ai più attenti di voi non sarà sfuggito che mi sono accorto del messaggio in copioso ritardo. Scrivo quindi a Marco, giustificando il ritardo con le scuse più becere (le feste natalizie, la connessione fallace, il maltempo, i lanzichenecchi, il gomito che fa contatto con il ginocchio). Parlando con lui resto incuriosito dal suo percorso e dalla sua visione del vino. In breve tempo arrivo ad ordinargli dei vini: Primitivo e Verdeca, a cui Marco aggiunge di sua sponte un ”Amforéas”. Degli altri due parlerò prossimamente, quest’oggi l’attenzione è posta sul Primitivo. Non prima però di aver parlato di questo giovane e bravo vignaiolo.
Marco è praticamente cresciuto in mezzo ai filari. Tre generazioni di viticoltori lo anticipano, con il padre Giangiuseppe che nel 2003 fonda l’azienda vinicola Masseria Ludovico. Seguendo questa scia Marco va ad Udine a studiare viticoltura e enologia; quindi intraprende un discreto tour, che lo riporta a Manduria, per poi toccare Napoli, Montalcino, e da lì lanciarsi fino a Mendoza (Argentina) e Blenheim (Marlborough, Nuova Zelanda). Un bagaglio di esperienza invidiabile, le sue conoscenze e considerazioni sul vino ne risultano enormemente ampliate. Torna nell’azienda di famiglia, ma tutte queste esperienze lo pungolano giorno dopo giorno. Fino a quando Marco ritiene sia giunta l’ora di produrre vino in proprio, secondo un concetto che fosse tutto e solo suo. Nasce l’azienda “Marco Ludovico – Enoartigiano in Terra delle Gravine”.
Questa definizione è fondamentale, ‘enoartigiano’. Racchiude in pratica tutto il pensiero di Marco: il suo vino elude la sfida convenzionale/naturale; il suo è un vino artigianale. Vuol dire andare oltre le classiche catalogazioni del vino, ormai stantie, noiose e in molti casi prive di vero significato. Il suo vino, soprattutto, vuole essere un vino ‘onesto’, un aggettivo che io considero splendido: l’obiettivo di Marco è far deflagrare nel bicchiere vitigno e territorio, in modo che il vino possa esprimere appieno la propria unicità (e sarebbe un sacrilegio offuscare un territorio come quello della Terra delle Gravine, quasi totalmente calcareo, splendido per la coltivazione della vite). Marco riesce in questo intento intervenendo il minimo indispensabile in vigna come in cantina (uso di lieviti indigeni, nessuna chiarifica né filtrazione, solfitazione minima), tutto il lavoro lo lascia fare all’uva, basta che giunga perfetta in cantina. Voi direte “ok, in un vino bianco ce la fai a portare il territorio, ma con un’uva così potente come il Primitivo ciò non può essere possibile”. Spoiler: Marco ce la fa.

Io credevo che un Primitivo pugliese non potesse che essere un vino corposo, morbidone, fruttatissimo. Questo vino invece danza con altre scarpe. Le uve Primitivo di Marco Ludovico crescono felici e spensierate su terreni calcarei ricchi di scheletro, posti a 300/400 metri s.l.m., molto ventilati e con notevoli escursioni termiche. Questo terroirpermette al Primitivo di sviluppare una bella quantità di precursori d’aroma, tradotti poi in splendidi profumi durante la fermentazione alcolica e l’affinamento (un annetto abbondante passato per l’85% del vino in acciaio e per il restante 15% in barrique usate di rovere di Slavonia).
Vado dunque a stappare la bottiglia, provando al contempo esaltazione e un po’ di timore. Parliamoci chiaro, fare un vino solo con lieviti indigeni, senza altri interventi in cantina, e farlo anche buono non è impresa facile. Ne ho assaggiati molti di vini che si vedono difendere i molti difetti organolettici con il pretesto del non-interventismo. Ma lo scopo principale di un vino è sempre e solo uno: essere buono da bere; la naturalità dell’intero processo è un grandissimo valore aggiunto, ma arriva sempre e comunque dopo il gusto. Ecco, il Primitivo di Marco Ludovico unisce utile e dilettevole in maniera eccellente.
Verso il vino nel bicchiere: è di un bellissimo rosso rubino, sferzato da tenui riflessi purpurei.  Rimango spiazzato: riesco ad intravedere la tovaglia attraverso il liquido. Ora ditemi chi di voi ha mai ambito ad avere una sorta di visuale attraverso un calice di Primitivo. Il banale pensiero è che, se tanto mi dà tanto, se nel calice è meno compatto, anche al naso e in bocca sarà meno intenso, no? Bravo, no. Perché il profumo di questo vino è sì delicato, ma di sentori ce ne sono davvero tantissimi. Escono tutti in modo gentile, eppure si percepiscono nettamente. A calice fermo si avvertono more di rovo e mirtilli. Poi una delicata roteazione del calice (non vi fate vedere che centrifugate il vino come foste una lavatrice, per piacere) e si dipanano ulteriori note di frutta: fragola, ciliegia, arancia rossa. C’è un sentore ematico di fondo molto leggero, c’è profumo di macchia mediterranea, di pino. Qualche minuto di ossigeno e affiora anche un mare di spezie: cannella, noce moscata, liquirizia e pepe rosa. Un bouquet davvero molto elegante. 
Eleganza che si replica in bocca, la parte più sorprendente dell’assaggio. Il sorso è fresco, incredibilmente succoso e snello, con una leggera trama tannica a corredo ed una chiusura che ricorda mirtilli e ciliegie. E anche qui non assomiglia al vostro classico Primitivo, ma non ci trovo una mancanza di tipicità, perché l’uva e il territorio sono stati pienamente rispettati. È solo diverso il concetto secondo cui Marco Ludovico vinifica: la volontà di dimostrare che un Primitivo pugliese può essere anche un vino elegante e leggero, simile ad un Pinot Nero neozelandese (e non è un paragone buttato lì a casaccio; provatelo e poi ditemi). Nota aggiuntiva: il vino è di una bevibilità incredibile per quanto risulta leggiadro.

Concludo con un’impressione musicale: mentre bevevo il vino mi risuonava in testa Going Up The Country dei Canned Heat. Vado a spiegarmi: praticamente tutte le canzoni dei Canned Heat sono state cantate da Bob Hite, una voce possente. Solo poche di esse (ad esempio Going Up The Country e On The Road Again) sono state cantate dalla voce leggera, sottile di Alan Wilson, caratteristica che ha contribuito a renderle eterne. Perché spesso non è con la potenza che si raggiungono grandi risultati, il Primitivo di Marco Ludovico ne è ulteriore esempio.

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